Alla Camera dei Deputati sono state esaminate le proposte di legge che riguardano le future modifiche alle normative sull’etichettatura dei prodotti caseari a latte crudo, e nell’occasione è intervenuto il virologo Roberto Burioni che, in un’audizione alla Commissione affari sociali della Camera lo scorso 26 marzo, è stato categorico: “il latte crudo è pericolosissimo“.
L’opinione del professore ordinario di Microbiologia e Virologia dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano non lascia spazio a dubbi: “in molti Paesi è vietato e dovrebbe essere vietato anche in Italia” e “quei formaggi che non sono sottoposti a trattamenti che garantiscono l’uccisione di tutti i batteri patogeni” dovrebbero essere parimenti fuorilegge.
Il dibattito sul latte crudo
I dati portati da Burioni sono, ovviamente, incontrovertibili: “moltissime persone sono morte in passato per averlo bevuto e qualcuno per questo motivo muore anche oggi”, e negli Stati Uniti meno del 3% delle persone beve latte crudo; eppure il 70% degli episodi epidemici si verifica proprio in questi soggetti”. Proprio negli USA poi, il consumo di latte crudo è caldamente sostenuto da un personaggio controverso come il Segretario della sanità Robert F. Kennedy Jr, uno che discetta sulla salute degli americani mangiando hamburger durante le interviste, e anche questo non gioca a favore della causa.
“Dal punto di vista medico il latte crudo è un rischio, il fatto che sia permesso o no, è una scelta politica -dichiara Burioni nella sua audizione-. C’è un modo per rendere sicuro il latte, che conosciamo da molto tempo, è la pastorizzazione. Se il latte viene pastorizzato gli agenti patogeni vengono uccisi e non c’è possibilità che si replichino”. Ora, lungi da noi mettere in dubbio l’impianto scientifico delle dichiarazioni di Burioni: i dati sono inattaccabili, e che la pastorizzazione azzeri il rischio è fuori dubbio.
Ma di rischi in cucina ce ne sono molti, e se nessuno vuole sacrificare la cremosità della carbonara per la certezza di eliminare la salmonella, criminalizzare un patrimonio caseario che raccoglie nomi come Parmigiano Reggiano, Grana Padano, Puzzone di Moena, Montasio, Fiore Sardo, Fontina, Caciocavallo Silano, Strachitunt o Castelmagno d’Alpeggio sembra quanto meno un eccesso di zelo.
Le leggi, d’altro canto, già ci sono, e il latte crudo che compriamo direttamente nelle aziende agricole o dalle macchinette presenti nelle aree limitrofe agli allevamenti deve obbligatoriamente riportare precise modalità d’utilizzo: l’indicazione “latte crudo non pastorizzato”, la conservazione in frigorifero, il consumo entro tre giorni e l’obbligo di bollitura.
Se è poi vero che in molte nazioni il latte crudo e i suoi derivati caseari sono vietati, in altri ne hanno fatto -giustamente- una bandiera, come succede in Francia, forti del fatto che lo stesso processo di caseificazione e una stagionatura di almeno due mesi, sempre che queste operazioni vengano condotte con competenza e nel rispetto dei regolamenti, portano a un prodotto sicuro.
Non vogliamo chiaramente sminuire i gravi fatti di cronaca che hanno portato a riaccendere il dibattito sull’argomento, ma questi hanno già dato vita a iniziative volte a garantire ancora di più il consumatore, come il protocollo d’intesa tra la Provincia di Trento e la Federazione di Cooperazione, che passa dalla formazione sia dei produttori che degli utenti finali, senza criminalizzazioni di sorta.