Sarà forse comodo e da un certo punto di vista persino conveniente, ma anche pericoloso. Secondo uno studio di recente presentato da un gruppo di ricercatori dell’Università dell’Illinois riutilizzare l‘olio fritto può portare a sviluppare seri disturbi neurologici, in quanto tale pratica andrebbe a rimuovere molti degli antiossidanti naturali e di altre sostanze benefiche normalmente contenuti negli alimenti, aggiungendo allo stesso tempo acidi grassi, perossidi e altri composti nocivi come l’acroleina, aldeide ad azione immunosoppressiva dannosa per il fegato e con proprietà cancerogene.
Vale la pena notare, prima di prendere in analisi lo svolgimento e i risultati proposti dallo studio, che gli scienziati hanno osservato le conseguenze di cui sopra in seguito a una serie di specifici esperimenti con i topi: le conclusioni, in altre parole, dovranno necessariamente essere filtrati ed eventualmente confermati con indagini più approfondite ed effettuate su esseri umani; anche se è giusto notare che il riutilizzo dell‘olio fritto, a onore del vero, è comunque tradizionalmente sconsigliato da medici e nutrizionisti.
Olio fritto e topi: l’esperimento dei ricercatori
Ve la facciamo semplice – il gruppo di ricerca ha fondamentalmente passato un mese intero ad alimentare dei gruppi di roditori con cinque diete differenti, che prevedevano cibo normale o arricchito di olio di sesamo o girasole riscaldato o riscaldato. Come potrete già avere intuito, al termine del ciclo alimentare gli scienziati hanno condotto le analisi del caso e osservato che i gruppi di studio nutrito con olio riscaldato si distinguevano per alti livelli di enzimi epatici, chiaro sintomo di infiammazione e stress ossidativo.
La perizia degli scienziati ha poi svelato livelli elevati di colesterolo, danni alla struttura cellulare del colon e alcuni cambiamenti nella struttura delle tossine rilasciate dai batteri intestinali; una serie di condizioni che hanno a loro volta innescato un’alterazione del metabolismo dei lipidi nel fegato e compromesso il trasporto dell’omega-3 DHA al cervello, causando infine una diffusa neurodegenerazione.
È interessante notare che tale condizione è stata osservata tanto nei gruppi di studio a cui, per l’appunto, è stato somministrato cibo “condito” con olio riscaldato, che alla prole degli stessi. I risultati, in definitiva, parlano chiaro: riutilizzare l’olio fritto può di fatto alterare i delicati equilibri tra il fegato, l’intestino e il cervello, innescando il rischio di infarti e ictus e provocando, allo stesso tempo, un aumento del rischio di disturbi neurologici.
Come già accennato in apertura, i risultati di cui sopra dovrebbero opportunatamente essere confermati con trial clinici, ma il loro contenuto è comunque più che eloquente e, per certi versi, innovativo: “Per quanto ne sappiamo, siamo i primi a segnalare che l’integrazione a lungo termine di olio fritto aumenta la neurodegenerazione nella prole di prima generazione” ha spiegato a tal proposito il professor Kathiresan Shanmugam.