Dopo la Fipe, il Centro Studi Unimpresa lancia l’allarme sulla riapertura dei ristoranti e sulle attività legate al commercio al dettaglio. Secondo un’analisi, il 30% non riaprirà a giugno perché non sarà in condizione di ripartire. Infatti, per almeno 1/3 degli imprenditori, la ripresa di alcuni esercizi è sconveniente dal punto di vista economico, se si considerano i costi fissi che non sono in alcun modo congelati né ridotti (affitti, utenze, tassa sui rifiuti e sul suolo pubblico).
Secondo l’associazione, il crollo del 30% di negozi, bar e ristoranti si potrebbe tradurre, considerando le attività connesse, in una riduzione del giro d’affari complessivo che interessa 250 miliardi di euro di prodotto interno lordo: a questa cifra si arriva partendo dal presupposto che il 60% del pil è legato al mercato interno e che il 30% di questo mercato (ovvero il 18% del totale del pil) potrebbe subire pesanti ripercussioni.
Secondo il vicepresidente di Unimpresa, Giuseppe Spadafora, le attività legate alla ristorazione e al commercio al dettaglio “non hanno avuto accesso ai 25 mila euro propagandati dal governo e tutti si dovranno attenere alle nuove disposizioni sulle distanze. In sintesi, un bar che riapre a giugno potrà lavorare con un terzo dei clienti semplicemente perché non li potrà fare entrare nel proprio esercizio. Vuol dire anche un terzo degli incassi, ma con gli stessi costi fissi come bollette, affitti, tassa sul suolo pubblico, rifiuti”.