I controlli dei Nas nei ristoranti “etnici” hanno riscontrato tant locali irregolari (nel 48% dei casi), ma non sono gli unici: Lorenzo Biagiarelli, appassionato di food (e compagno della giornalista Selvaggia Lucarelli), fa notare che anche i locali italiani non sono da meno.
“E così un ristorante etnico su due ha delle irregolarità. Pazzesco no? Che sporcaccioni questi etnici, gente etnica, ingredienti etnici, insomma l’etnia è proprio un concetto sporco, irregolare, marcescente. Come dite? Hanno multato il 50% dei ristoranti etnici perchè hanno controllato solo ristoranti etnici? Beh, hanno fatto bene, sono loro che hanno gli scarafaggi in cucina, mica gli italiani. Se controllassero solo i ristoranti italiani cosa succederebbe? Ma niente, noi siamo puliti, profumati e non serviamo mica pranzi di lavoro a 7 euro, sintomo di qualità indecente e di scadenze allungate. No, no, noi nulla. Nel 2014 hanno controllato anche i ristoranti italiani è la percentuale di irregolarità era sempre del 50%. FAKE NEWS, FAKE NEWS, FAKE NEWS!”, scrive sulla sua pagina Facebook Biagiarelli, riportando uno screenshot dei dati di qualche anno fa (era il 2014), quando erano i ristoranti italiani a essere irregolari per il 50%.
In effetti, non sembra davvero essere un problema legato solo alla tipologia di cucina: leggi spesso molto restrittive, mescolate a frequenti casi di mala gestione, hanno sempre portato, più o meno, alle stesse conclusioni. Senza andare al 2014, basta guardare i dati relativi al 2017, quando i 15mila controlli effettuati nell’arco di 365 giorni dai Nuclei Antisofisticazioni e Sanità, hanno portato alla scoperta di 2425 non conformità, con merci sequestrate all’interno dei ristoranti (indipendentemente dalla tipologia di cucina) di 630 milioni di euro, e il recupero di oltre 2000 chili di cibarie scadute o mal conservate. Difficile pensare che si tratti soltanto di kebab e sushi proveniente dalle formule “all you can eat”, anche se indubbiamente queste ultime sono categorie particolarmente a rischio data la necessità di abbattimento e buona conservazione del pesce da consumare crudo e il prezzo di vendita generalmente piuttosto basso. Ma, giusto per fare un esempio, in occasione della presentazione dei dati sopra citati, fu proprio il l maggiore Salvatore Pignatelli, comandante dei Nas di Milano, a raccontare a Libero (parliamo di Libero, eh, non certo un paladino nella difesa del kebab) come nell’anno precedente 36 persone erano rimaste intossicate in un prestigioso ristorante di Milano: non un sushi bar o un locale cinese, bensì proprio un ristorante italiano.
E anche nel 2016 non era andata meglio, con – per citare alcuni dati – 727 esercizi commerciali controllati dai Nas a Roma nell’arco dell’anno precedente, dei quali circa la metà aveva presentato irregolarità, comprese alcune rinomate gastronomie, pasticcerie e osterie 100% italiane, come riportava tra gli altri il Corriere di Roma, che riportava di “ristoranti con le tovaglie a quadretti” con insetti nelle cucine e nel registratore di cassa, o della cornetteria storica “senza cappe ma con le blatte”.
Ecco, davvero, forse dovremmo fermarci un attimo a pensare, ed evitare di stigmatizzare a prescindere un’intera categoria (cosa che già facciamo, in realtà, quando parliamo di “ristoranti etnici”, come faceva notare la giornalista Margo Schatcher in un’ottima riflessione di qualche tempo fa su Vanity Fair) e parlare, semplicemente, di locali che lavorano correttamente e posti dove le basilari norme igieniche non vengono invece rispettate, indipendentemente dal tipo di cucina proposta. Perché questo, signori miei, si chiama razzismo.