Chi è andato a fare la spesa ultimamente lo sa: sebbene lo zucchero sia considerato il re dei rincari, anche l’olio extravergine d’oliva non scherza mica. Anzi: visto che probabilmente usiamo più olio che zucchero, questi rincari stellari avranno delle ricadute non da poco sui portafogli degli italiani. L’allarme di Coldiretti è chiaro: il calo della produzione e l’inflazione fanno sì che l’olio d’oliva abbia subito un aumento del prezzo del 42% rispetto al 2022.
Perché l’olio di oliva costa così tanto?
Il report “Prezzi, l’autunno caldo dell’extravergine” (e tralasciamo qualsiasi considerazione su chi ha proposto e chi approvato un titolo del genere) parla chiaro: la produzione dell’olio extravergine d’oliva è crollata a livello internazionale, cosa che ha causato un inevitabile aumento dei prezzi.
Le ragioni di tali rincari sono sempre le stesse: l’inflazione e la scarsità della materia prima. Soprattutto in Spagna, primo produttore ed esportatore mondiale di olio d’oliva, si è registrato un calo di oltre il 50% della produzione. E tutto a causa della peggior siccità mai vista prima nel Paese (no no, continuate a dire pure che i cambiamenti climatici non esistono e continuate a gioire del fatto che a ottobre si gira ancora con le magliette a mezza manica).
Il problema, inoltre, riguarderà anche l’attuale campagna di raccolta. Cali nella produzione, poi, sono stati registrati anche in Marocco e Tunisia: qui si parla di una riduzione del raccolto fra il 25 e il 40%.
A causa di ciò, i prezzi all’ingrosso sono saliti e, di conseguenza, anche i prezzi al dettaglio. A questa scarsità di produzione, poi, bisogna aggiungere anche l’inflazione, con aumenti medi del 50%.
Nonostante l’Italia sia uno dei principali Paesi produttori di olio d’oliva, preceduto solo da Spagna e Grecia, ecco che 3 bottiglie su 4 consumate in Italia sono di olio importato. In effetti, in Italia l’importazione di olio d’oliva dall’estero è arrivata a livelli record: nel 2022 ha superato a valore i 2,2 miliardi di euro, mentre durante i primi sei mesi del 2023 ha registrato un aumento del 20%.
Il fatto è che in Italia la produzione media è di 320mila tonnellate, mentre il fabbisogno totale annuo è di 1 milione di tonnellate. 600mila tonnellate servono per il consumo interno, mentre 400mila per l’export. Da qui si evince la necessità di importare olio dall’estero, altrimenti non basterebbe.
Il problema è che la siccità ha colpito anche qui da noi e le previsioni per la prossima campagna di raccolta non sono ottimali. Puglia e Calabria, a quanto pare, sono in recupero, mentre la situazione va decisamente male al Nord.
I dati Ismea parlano di una ripresa del 20%, nonostante la siccità durante l’inverno e le piogge eccessive primaverili che hanno fatto cadere i fiori prima del tempo. Al momento si ipotizza un raccolto di 290mila tonnellate, grazie soprattutto alla produzione in Puglia e Calabria. Per contro, però, al Centro e al Nord, si stima un calo di oltre il 30%.