Siamo certi che la proposta di legge presentata dalla Regione Puglia sul fermo della pesca dei ricci di mare per (almeno) tre anni poggiasse sulle migliori intenzioni: come vi raccontammo, infatti, mettere un freno allo sfruttamento di questa delicata specie marina, in modo da favorirne il ripopolamento, è una scelta che poggia su concrete basi scientifiche. Il rischio, secondo gli esperti del coordinamento scientifico dell’associazione ambientalista MareAmico, è tuttavia di favorire accidentalmente il fenomeno della pesca illegale – una conseguenza che può essere evitata solamente attraverso una fruttuosa discussione declinata in un tavolo tecnico che coinvolga operatori del settore ed esperti.
Come accennato, la proposta di legge si faceva forza raccontando del modo in cui, in altre parti della Penisola – Sardegna in primis – un provvedimento fosse già stato adottato con relativo successo, ma Massimo Toma di MareAmico non condivide l’ottimismo: “In Sardegna infatti, già nel 2020 le associazioni, le aree marine protette e soprattutto i pescatori hanno iniziato a proporre uno stop alla pesca dei ricci di mare” spiega. “Per mesi hanno lavorato in continua sintonia costruendo una proposta condivisa nei confronti del governo regionale sardo”. In altre parole, Toma parla di una importante spinta dal basso che ha fornito le basi per l’attuazione del fermo, poi accompagnato da un investimento di 2,8 milioni di euro.
In Puglia, “dimenticandosi” degli stessi protagonisti del settore e agendo per mera emulazione, l’iniziativa del fermo “rischia di avere l’effetto opposto e può produrre uno spreco di risorse o ancora peggio incentivare la pesca illegale”. Conclude Toma: “Tutte le volte che sono stati applicati divieti o fermi senza il coinvolgimento degli operatori del settore si è ottenuto esattamente il contrario”.