La carta dei vini del ristorante Flat Iron, situato in quel di Londra, ha attirato su di sé la caotica attenzione del popolo internettiano. Il motivo? Beh, è un po’ troppo minimalista, diciamo – al punto da “dimenticare” alcune informazioni che, stando alla colorata opinione di alcuni utenti di Twitter, sarebbero di fatto fondamentali. Insomma, non occorre certo essere dei senatori del fine dining per conoscere quei dettagli che, a rigor di logica, dovrebbero apparire su tutte le carte vini del mondo: nome del produttore, l’annata, la regione di provenienza… Insomma, il minimo. Ebbene, quelli di Flat Iron sono di tutt’altro avviso, e promuovono un approccio più casual, più aperto al consumo leggero, a mente vuota; con proposte che spaziano dal “Spicy Italian Negoramaro” all'”Elegant Bordeaux”.
Una scelta azzardata, ma interessante
In altre parole, ogni vino è accompagnato da un vago riferimento geografico (segnaliamo, ad esempio, un Pinot Nero indicato semplicemente come “Italian”) e da un descrittore più o meno preciso, comodamente generalista, che ha la funzione di incanalare la scelta del cliente secondo i suoi gusti. Insomma, voglio bermi un bianco fruttato? Beh, questo “Fruity South African Chenin Blanc” potrebbe fare al caso mio.
A volte il mondo del vino trascina con sé una insopportabile pesantezza, una pretesa di implicita nobiltà che sovente, ai non iniziati, potrebbe apparire come un semplice “darsi le arie”. Il calice che viene fatto volteggiare quattro, cinque, dieci volte, la foto all’etichetta (che sennò non l’hai bevuto veramente, lo sanno tutti), l’apparente abbandono di questo piano esistenziale primitivo e rozzo per ascendere a un stato di trance ascetica quando lo si porta al naso… Siamo certi che abbiate almeno un amico che ama schioccare la lingua con fare teatrale dopo ogni sorso.
Insomma, questo approccio che squarcia questo velo rituale non ci pare un’idea così strampalata. Poteva essere eseguita meglio? Molto probabilmente sì. Ma torniamo alla reazione internettiana: “Le parole devono significare qualcosa e queste sembrano non significare nulla” ha osservato un utente di Twitter. Il che è vero. “Quando il Bordeaux è più economico del Rioja, non vuoi ordinare quel Bordeaux” ha invece twittato Simon J. Woolf, un wine writer.
A onore del vero viene tuttavia da pensare che la carta dei vini in questione non sia stata redatta con una pretesa di verità assoluta, quanto più come una semplice guida all’acquisto; magari atta a ridurre quella sensazione di sopraffazione che sovente capita quando un cliente meno “studiato” si trova tra le mani una carta dei vini spessa come un dizionario (o perché no, a invitare a bere la bottiglia e non l’etichetta). E in questo si direbbe che funzioni.