Su internet sono molti i casi in cui le persone esercitano il diritto all’oblio in rete. Cittadini coinvolti in casi giudiziari o protagonisti di storie di cronaca che vorrebbero solo dimenticare, ma che internet ricorda per sempre. Il diritto all’oblio su internet, però, non può valere per negozi, ristoranti, professionisti che lavorano con un pubblico. Perché prima viene l’interesse dell’utente, poi quello delle strutture che lo hanno fornito.
È la decisione storica presa dai giudici del Tribunale di Roma, che creano così un importante precedente. Le recensioni di ristoranti, locali, alberghi su internet sembrano non conoscere “crisi”, dopotutto tutti prima di prenotare un tavolo o una stanza diamo un’occhiata alle recensioni degli utenti che hanno visitato quei luoghi prima di noi. Con buona pace di qualche ristoratore o albergatore, che talvolta si trova una bella recensione negativa sotto il profilo della propria struttura.
Ma si dà il caso che il diritto di critica degli utenti (e quindi dei clienti) sia più importante del diritto all’oblio di chi fornisce il servizio.
La sentenza, nello specifico, riguarda un chirurgo plastico di Roma, che voleva cancellare recensioni non proprio positive da Google My Business, tenendo solo quelle “comode”. Così il medico ha fatto causa a Google, chiedendo di cancellare la scheda dai risultati di ricerca o almeno di eliminare i commenti negativi, facendo sparire entro 24 ore i nuovi che potevano sopraggiungere. La 18esima sezione civile del Tribunale di Roma, però, ha respinto la sua richiesta, stabilendo di fatto un precedente importante per i servizi di recensioni online, oltreché per gli esercenti e i professionisti italiani che sono recensiti su queste piattaforme.
Il diritto di oblio vale per i cittadini, per tutelare il loro passato. Non lo stesso può avvenire per negozi, ristoranti e bar che offrono un servizio pubblico. Le recensioni negative servono al cliente per capire con chi ha a che fare. Ma anche all’operatore per migliorarsi, no?
[Crediti | Repubblica]