Se esiste -o è mai esistita- una critica gastronomica italiana, lo dobbiamo in gran parte a lui, Edoardo Raspelli. Colui che ha stabilito i dettami per le recensioni di ristoranti in Italia, meglio se pungenti e disilluse, arrivando addirittura ad essere tanto apprezzato quanto temuto per una specialità ormai in via d’estinzione nel giornalismo gastronomico italiano come la recensione negativa. Una reverenza che evidentemente il gruppo Gedi -editore di ilgusto.it e dei 13 quotidiani ad esso collegati – non sente di dovere al decano dei critici gastronomici nostrani, caduto vittima dei piani di ristrutturazione del gruppo dopo una collaborazione che avrebbe celebrato i 40 anni proprio l’anno prossimo.
Il celebre gourmand non ha gradito la modalità in cui la notizia gli è stata comunicata: una PEC di “quattro righe con una firma illeggibile”, uno stile comunicativo freddo e corporate decisamente lontano da chi ha scritto un pezzo di storia del giornalismo italiano. Una storia iniziata nel 1969 assunto, appena ventenne, al Corriere della Sera allora diretto da Giovanni Spadolini e proseguita scrivendo di temi meno frivoli rispetto a quelli che l’avrebbero reso famoso: Raspelli iniziò infatti come cronista di nera nei turbolenti anni del terrorismo, arrivando anche ad essere il primo giornalista ad essere presente sul luogo del delitto di Luigi Calabresi. Fu nel 1975 che Cesare Lanza decise di affidargli una rubrica di ristoranti, specificamente dedicata alle stroncature intitolata “Il faccino nero”, e il successo fu immediatamente sancito dal miglior metro di paragone, le numerose querele e i processi nei quali fu sempre assolto.
Passa per il periodo pionieristico del Gambero Rosso, allora ancora supplemento del Manifesto, e fonda, nel 1978 la Guida ai Ristoranti d’Italia dell’Espresso, avendo insomma un ruolo fondamentale in ognuno dei momenti cardine del giornalismo di settore, e contribuendo a sviluppare l’immagine del critico severo, che non ammette amicizie con chef e professionisti, consuma il suo pasto in rigoroso anonimato, altrettanto rigorosamente paga e se ne va. Un modus operandi sempre più lontano dalla realtà, e che lui stesso vede rispettato soltanto dal “critico mascherato” Valerio Visintin, per non parlare delle sue opinioni sugli influencer a cui non ha mai risparmiato dichiarazioni sferzanti.
Non è mancato nemmeno il successo televisivo con Melaverde, programma che ha condotto per ben 21 anni dal 1998 al 2019, e nonostante il rammarico verso il gruppo Gedi non molla, continuando a pubblicare sul suo mensile digitale gratuito Raspellimagazine e continuando le sue apparizioni televisive la domenica mattina su Rai3. Bisogna dargli atto: per dare il benservito a uno con un curriculum così, poteva effettivamente starci una almeno telefonata. E invece, il critico non sa nemmeno da chi è stato licenziato. “Di chi è la firma?“, è la domanda retorica che pone al Gambero Rosso: “Non si capisce, firma illeggibile. So che il direttore del Gusto si chiama Luca Ferrua ma non so che faccia abbia, che voce abbia, in questi anni ho cercato decine di volte di parlarci senza riuscirci, non risponde alle telefonate, non risponde alle mail”.