Il loro giro d’affari vale 2,8 miliardi di euro, ma per lo sfruttamento delle fonti i colossi italiani dell’acqua minerale versano a Comuni e Regioni soltanto 18 milioni di euro.
Per chi ama far di conto, precisa il giornalista Flavio Bini su Repubblica, che oggi ha pubblicato questi dati, stiamo parlando dello 0,64%.
Ma quali sono i primi sei giganti italiani dell’acqua minerale, che da soli detengono quasi due terzi del mercato e che per utilizzare le fonti versano una cifra variabile stabilita proprio dai vari enti locali?
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Sanpellegrino è il primo con un fatturato di 989,649 milioni di euro, una quota di mercato del 18,6% grazie a marchi come Levissima, Panna e Vera, e 4,4 milioni di euro versati ai vari enti locali in cui opera, ovvero lo 0,4%.
Segue a ruota San Benedetto, proprietario anche dei marchi Guizza, Primavera e Acqua Nepi, secondo gigante italiano dell’acqua minerale con 2.400 milioni di litri: su 592 milioni di euro ne versa ai proprietari delle fonti poco più di 3, lo 0,57%.
Al terzo posto, con notevole distacco, troviamo Fonti di Vinadio, conosciuto per il marchio Sant’Anna. Fattura “solo” 199 milioni di euro e ne versa meno di uno e mezzo. Norda, proprietaria di Sangemini, fa un po’ meglio con l’1,08% di ricavo versato al settore pubblico.
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Poi Lete e Ferrarelle, quinto e sesto per quota di mercato, ma anche quelli che ricavano di più: i loro canoni ammontano rispettivamente allo 0,32% e allo 0,39%. La Regione Campania però, proprietaria delle fonti di approvvigionamento, ha previsto di triplicare la tassazione al metro cubo, come hanno dichiarato le stesse aziende.
Cosa dice Mineraqua, l’associazione che riunisce i produttori principali, per difendersi dalle accuse di guadagni eccessivi? Attraverso il vice presidente Ettore Fortuna ricorda che quando si parla di concessioni il lavoro delle imprese è enorme: “L’acqua la scopriamo noi, la facciamo riconoscere dal ministero della Salute attraverso un procedimento molto lungo e la commercializziamo facendo investimenti”.
Da parte sua San Benedetto alza le mani, puntualizzando che il 70% del fatturato è dato dal settore delle bibite, mentre Fondi di Vinadio punta sulla rivalutazione del territorio: “Queste cifre non tengono conto di quanto il gruppo restituisce a una valle di montagna che si stava spopolando e che in questi ultimi anni è rinata”.
[Crediti | Corriere della Sera]