La task force italiana in difesa del Prosecco ha raccolto altre prove contro la denominazione del Prosek ed è pronta a dare battaglia in sede europea: prove storiche, che dimostrano come il nome croato non sia autonomo ma derivi chiaramente da quelo italiano. E prove che attestano l’esistenza del vino sin dal XIV secolo. Lo hanno raccontato il presidente della regione Veneto Luca Zaia e il sottosegretario all’agricoltura Gian Marco Centinaio, al termine dell’ultima riunione del gruppo di lavoro: l’Italia ha tempo fino al 20 novembre per presentare le proprie osservazioni alla commissione.
“La partita Prosek per noi è cruciale”, ha detto Zaia, “perché stiamo parlando di una denominazione che ha avuto la “riserva del nome” nel 2009. Siamo il quarto esportatore mondiale con 2 miliardi e 400 milioni di euro. Se passa il principio che chiunque può utilizzare nomi simili per aggredire mercati simili significa che l’Europa si trasforma in una Babele. C’è una istruttoria e un buon dossier, i nostri legali faranno sintesi con il Ministero”. Nelle mappe del 1300 è riportato che la denominazione della cittadina di Prosecco vicino Trieste veniva chiamata Prosek nei documenti austriaci: una semplice traslitterazione linguistica quindi, non un’origine autonoma del termine, come sostiene la Croazia che vorrebbe far derivare il nome dall’azione di “prosciugare”.
Una battaglia che non sembra affatto difficile vincere, quella del Prosecco, ma che pure sta destando preoccupazione. Conclude Zaia: “È la dimostrazione, la prova provata, che il toponimo che ha dato la riserva del nome al Prosecco nel 2009 è lo stesso. Quindi non è possibile che altri possano utilizzare lo stesso toponimo”. E Centinaio: “Si potrebbe aprire una falla nel sistema. Dal momento che si accetta la denominazione Prosek significa che si mette a rischio tutte le altre denominazioni. Quindi l’obiettivo ora è tutelare tutti e il nostro Paese”.