Purtroppo il rincaro dei prezzi alimentari e dei costi dell’energia avrà un duro impatto anche sulle valute dei mercati emergenti che rischiano di essere gravemente danneggiate dal rialzo dei prezzi.
Secondo l’indice mondiale dei prezzi alimentari delle Nazioni Unite di febbraio, pubblicato lo scorso venerdì, è rimasto praticamente invariato: è al 20,7% contro il 19,2% di gennaio, dato strano se si considera l’aumento di costo di materie prime come mais e grano.
Tuttavia è anche vero che dati come questo sono indicatori tardivi: questo vuol dire che a breve l’indice dovrebbe impennarsi, riflettendo i rialzi recenti dei prezzi delle materie prime.
Bisogna poi considerare che l’ulteriore rialzo dei prezzi dell’energia di lunedì, influirà negativamente sui prezzi dei generi alimentari visto e considerato che il petrolio è indispensabile per i fertilizzanti.
Secondo i dati rivelati da National Sources, in teoria l’IPC globale dovrebbe diminuire nel corso dei prossimi mesi, ma questo potrebbe non accadere nel caso i prezzi dell’energia rimangano così elevati.
A farne le spese saranno soprattutto i mercati emergenti, fortemente influenzati dall’aumento dei prezzi dei generi alimentari. Nei paesi emergenti, infatti, il cibo fa parte in maniera più massiva dei panieri CPI. Per esempio, in India il cibo rappresenta quasi la metà del paniere dell’IPC, nelle Filippine, in Cina e in Russia è più del 30%, mentre nei paesi europei è il 10-15% (negli Stati Uniti rappresenta solo l’8%).
L’inflazione alimentare rappresenta un grave rischio per le valute di questi paesi emergenti. In Turchia il cibo è salito dell’8,5% di punti nell’IPC nel corso degli ultimi sei mesi, finendo letteralmente fuori classifica, mentre la valuta russa è già crollata, complici anche le sanzioni.