Questo lo prendo io, questo lo diamo ai bambini. Poche parole, ma i nostri lettori più attenti avranno già intuito che ci stiamo riferendo alla recente vicenda che ha visto protagonista Daniela Lo Verde, preside della scuola Giovanni Falcone del quartiere Zen di Palermo, infine arrestata per peculato e corruzione. Ma mettiamo un poco di ordine nella cronologia degli eventi: pare che Lo Verde, che per di più era nota ai più come una delle più note esponenti dell’antimafia locale, tanto da essere stata insignita anche del titolo di cavaliere della Repubblica, fosse solita appropriarsi del cibo (e non solo, come vedremo più avanti) destinato alla mensa dell’istituto scolastico, lasciando che ai bambini venissero serviti alimenti anche scaduti.
Cibo scaduto ai bambini della mensa: il caso della preside Lo Verde
Le indagini hanno coinvolto Lo Verde, il vicepreside Daniele Agosto e Alessandra Conigliaro (ora entrambi ai domiciliari), dipendente del negozio R-Store di Palermo accusata di avere regalato tablet e cellulari alla preside in cambio della fornitura alla scuola, in aggiudicazione diretta e per via esclusiva, del materiale elettronico. Scendendo più nei particolari pare che Lo Verde avesse messo in condizione Conigliaro di creare preventivi su misura a discapito di altre aziende per acquisti realizzati nell’ambito di progetti finanziati dal Pon o da altri enti pubblici.
Computer, tablet e altro materiale tecnologico veniva dunque “intercettato” dalla preside, che fondamentalmente si occupava di valutare i carichi destinati agli alunni decidendo quanto portare a casa e quanto, invece, lasciare all’istituto. Un modus operandi che troviamo anche nella gestione del cibo per la mensa: “Questo me lo voglio portare a casa, questi me li voglio portare a casa” si sente in alcune intercettazioni risalenti allo scorso giugno avvenute nell’ufficio in cui la preside, in compagnia della figlia, “smistava” gli alimenti.
Il tutto è nato dalla denuncia alle forze dell’ordine di una ex insegnante della scuola Falcone, che ha raccontato di una “gestione dispotica della cosa pubblica da parte dell’indagata”. La dirigente scolastica è stata descritta, stando ai rapporti del gip, come “avvezza alla violazione delle regole”, da quelle riguardanti l’emergenza sanitaria fino a quelle per i finanziamenti europei.
La docente ha rivelato che era comune la prassi di raccogliere ex post, e non durante il normale svolgimento delle attività, le firme dei ragazzi coinvolti; poiché in realtà il numero degli alunni partecipanti a queste iniziative era sovente basso e, dipendendo dal numero degli studenti interessati l’ammontare dei fondi ricevuti, si rischiava di perdere il denaro. Allo stesso tempo le fatture per gli acquisti venivano gonfiate, con il denaro in più che veniva “investito in abbigliamento e scarpe per la dirigenza della scuola”.
“Esiste una sorta di circuito consolidato secondo il quale se si rientra nelle grazie della preside si ha vita facile all’interno della scuola, altrimenti si vivono ritorsioni che rendono all’interno del plesso la vita molto difficile”, ha raccontato l’insegnante ai carabinieri e ai pm. “Tutto questo creava nella scuola un clima di pressione a seguito del quale nessuno dei docenti contrastava la preside nelle sue decisioni”.