Ci siamo. Sabato inizia l’ottantottesima edizione della Fiera del tartufo bianco d’Alba, una delle manifestazioni golose più importanti al mondo. E’ stata presentata oggi a Milano in un’atmosfera assai allegra. Tutti erano di buon umore perché si conferma quel che scrissi qualche settimana fa: sarà una stagione radiosa, piena di tartufi di qualità e dai prezzi accettabili.
La Fiera nel comune cuneese – culla del vino, del cibo e di Crippa – durerà fino al 24 novembre e fino ad allora il mercato del tartufo farà girare, ogni fine settimana, chili e chili di Tuber Magnatum Pico. Lo si mangerà in tutti i modi e un piccolo assaggio ne abbiamo avuto oggi, quando alla fine della presentazione sono stati proposti tre piatti di Martino Ruggieri, Enrico Bartolini e Gabriele Boffa e Andrea Ribaldone.
[Aspettando il tartufo, che dovrebbe costare 150/200 euro l’etto: Il buonappetito]
[Il Buonappetito – 2017: l’anno nero del tartufo bianco]
Tre bei piatti. Ma non posso non cogliere l’occasione per ribadire che secondo me il tartufo va mangiato più nudo possibile. Nonostante sia uno dei cibi più costosi e raffinati del mondo, ha un totale bisogno di semplicità: qualsiasi altro sapore, qualsiasi altra complessità al contempo penalizza e viene penalizzata dal temperamento del tartufo.
Il tartufo è come i diamanti: più è bello, più è nitido meno e ha bisogno di “montatura”. Dunque quando andrete a mangiarlo, anche nei ristoranti di blasone (e presto Dissapore ve ne consiglierà assai) chiedetelo sempre nelle sue versioni più essenziali, su un riso, su un tajarin, su un uovo, su una fonduta.
Se un grande gioielliere trova la pietra perfetta, la esalta, non la attornia di fronzoli. Lo stesso deve fare uno chef, anche se ha una, due, tre stelle Michelin: il tartufo ha una voce melodiosa, non ha bisogno del coro. I grandi cuochi sanno quando devono mettersi al servizio della materia prima: silenzio, parla la trifola.