L‘affair della pizza con o senza mozzarella, con i panificatori di Roma che non possono farcire le loro pizze per decreto, ha una svolta inaspettata, con la risposta della Polizia Locale. A pubblicarla è il sito Affari Italiani, che primo fra tutti aveva fatto notare la bizzarra anomalia della circolare redatta dalla polizia di Roma Capitale, che aveva voluto precisare il decreto 12 marzo 2020, n. 45 del Ministero dell’Interno, facendo luce sui divieti e sulle tipologie di attività permesse.
In sostanza, i panificatori avrebbero dovuto vendere esclusivamente ““pizza e focacce tipiche di panificazione sia bianche (semplici o condite con olio e rosmarino) sia rosse (condite al pomodoro ed olio)”. Niente mozzarella, niente condimenti fantasiosi. Tutti abbiamo pensato a un gap normativo o a una piccola svista delle autorità, che in questi giorni sono chiamate a legiferare in fretta e furia sulle più disparate situazioni. E invece no. A ribadire il concetto è proprio il vicecomandante della Polizia Locale di Roma Capitale, Massimo Ancellotti, con un tono che pare piuttosto piccato per “l’approccio ironico utilizzato dall’estensore dell’articolo”.
Nella sua lettera ad Affari Italiani, il vicecomandante Ancellotti ribadisce che c’è differenza tra i ““LABORATORI DI PIZZA RUSTICA” ed i “LABORATORI DI PANIFICAZIONE” e mentre nei primi è consentita la preparazione di tutti i generi di pizza, nei secondi solo i prodotti alimentari indicati nella circolare (vari tipi di pane e grissini, pizza e focacce tipiche di panificazione, sia bianche, sia rosse e pasticceria secca) oggetto dell’articolo”.
La questione, secondo quanto spiega la Polizia Locale nella lettera, è che l’esigenza dell’acquisto di pizza “va soddisfatta salvaguardando la salute pubblica, senza trasformare i locali delle attività di panificazione in un luogo di possibile ritrovo per una pluralità di persone che intendano consumare o acquistare un alimento la cui vendita è stata, invece, sospesa in altre attività similari, quali le pizzerie a taglio o pizzerie per il consumo sul posto”. Insomma, una questione di concorrenza sleale, verrebbe da dire, per cui limitando alla pizza “semplice” l’attività consentita ai panificatori non si fa un torto alle pizzerie. Che comunque possono fare delivery. Un ragionamento che parrebbe avere senso, ma continuiamo a chiederci come la mozzarella possa essere un motivo di assembramento. Se un panettiere vende uno o più prodotti, senza fare consumo sul posto, che differenza fa? È davvero possibile che una tipologia di pizza in più sia fonte di assembramento e concorrenza sleale a una pizzeria, che ha chiaramente una situazione di consumo differente?
Dopodiché, noi per primi capiamo – e lo abbiamo sempre premesso nel parlare della questione – le difficoltà di una regolamentazione straordinaria redatta in quattro e quattr’otto. Lo specifichiamo anche perché non vorremmo essere accusati, come è successo ai colleghi di Affari Italiani, di essere “alla improbabile ricerca di un premio Pulitzer” concentrandoci con “superficialità” e senza tenere in conto “in questo momento di straordinaria complessità, sia le difficoltà operative nell’attività di vigilanza e controllo delle disposizioni di questa fase emergenziale, sia la conseguente confusione generata nell’opinione pubblica”. Le teniamo in conto, invece. Diamo per scontato, come scrive giustamente il vicecomandante Ancellotti, che “ciascuno possa commettere errori”. Ma basterebbe ammetterlo, spiegando di non aver nulla contro la mozzarella sulla pizza: siamo sicuri che per quanto ai Romani piaccia, siano in grado dal contenersi dal fare assembramenti per acquistare un pezzo di margherita.
[Fonte: Affari Italiani]