Semaforo verde in Parlamento – l’Italia apre alla coltura di piante con il DNA modificato. Beh, più o meno: a onore del vero la norma in questione non prevede un via libera su larga scala, ma piuttosto nel ben più ristretto contesto delle sperimentazioni scientifiche, confinate in appezzamenti ben delimitati e con tanto di autorizzazione da parte dei ministeri dell’Agricoltura e dell’Ambiente. È per di più altrettanto importante notare che non si parla dei tanto osteggiati (specialmente in passato) OGM, ma piuttosto di varietà ottenute attraverso la tecnologia di modifica genetica nota come “CRISPR”, che di fatto permette di effettuare interventi di ingegneria genetica di altissima precisione in modo tale da favorire l’emergere di particolari tratti desiderati.
Piante con DNA modificato: tra OGM e Tea e le parole di Lollobrigida
Per fare un poco di luce tra tutti questi paroloni potrebbe aiutarci la definizione tradizionalmente utilizzata per indicare questo tipo di operazioni di ingegneria genetica: si tratta di “Tecniche di evoluzione assistita”, per gli amici Tea. Come brevemente accennato, tali tecniche permettono agli scienziati di sviluppare dei tratti evolutivi desiderati come la resistenza alle malattie, alla siccità o anche con un migliore apporto nutritivo.
Pensatele come una sorta di “acceleratore evolutivo“: tratti che verosimilmente potrebbero sorgere nel corso del processo di evoluzione di una determinata specie – vegetale o animale – vengono “accelerati” e “fatti apparire”. Solo di recente, dall’altra parte dell’Oceano Atlantico, l’Università di Washington ha aperto alla produzione di carne suina geneticamente modificata proprio con queste tecniche – carne che viene poi servita nelle mense dell’istituto.
Ma torniamo alle nostre cosiddette piante con DNA modificato: il sopracitato semaforo verde è stato accolto con un certo entusiasmo. “Per la prima volta nel nostro paese ci si esprime in modo favorevole all’innovazione genetica” commenta Luigi Cattivelli, direttore del centro di genomica e bioinformatica del Crea, il Consiglio per la ricerca in agricoltura, ente scientifico affiliato al Ministero dell’agricoltura.
La norma è stata accolta con sorprendente favore anche dal ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida: “L’Italia oggi è all’avanguardia in Europa”, ha commentato. Diciamo “sorprendente” perché, a giudicare dalla fierissima – e non sempre limpida – opposizione del ministro a progetti come la carne coltivata, ci saremmo aspettati una simile levata di scudi accompagnata da slogan roboanti a difesa di un vago “patrimonio italico”.
Al momento, le Tea si stanno rivelando particolarmente efficaci per ottenere piante con DNA più resistente alle malattie, tagliando la necessità di ricorrere a pesticidi e altri agenti simili. “Prendiamo come esempio il gene Mlo” racconta ancora Cattivelli. “Negli anni ’60 si scoprì che la sua distruzione rendeva le piante resistenti alla malattia dell’oidio. L’osservazione avvenne per caso, su orzo sottoposto a mutazione genetica tramite agenti chimici”.
L’intervento CRISPR permette di inattivare tale gene Mlo, lasciando il resto del corredo genetico intatto, dando come risultato una pianta resistente all’oidio eliminando l’uso di fitofarmaci necessari a combattere la malattia. “Negli OGM tradizionali inserivamo spesso geni appartenenti ad altre specie, o a batteri” spiega Cattivelli. “Prima di introdurre la nuova pianta nell’alimentazione dovevamo studiare che non contenesse nulla di tossico. Con CRISPR invece interveniamo su un gene ben preciso e a noi ben noto. Spostiamo geni tra piante della stessa specie, rispettando le barriere naturali”.
Il prossimo passo, a questo punto, tocca all’Europa: il nodo della questione riguarda la la direttiva 2001/18, che regola gli Ogm e che include CRISPR nella categoria degli organismi geneticamente modificati. “La trattativa è complessa ed è merce di scambio con un’altra norma in discussione in Europa che prevede la drastica riduzione dei pesticidi” ha spiegato Mario Pezzotti, direttore del centro di ricerca e innovazione della Fondazione Mach di Trento e professore di genetica agraria all’università di Verona.