Vi sentite particolarmente creativi, avete ottime competenze scientifiche e siete preoccupati per le sorti di un mondo che sembra sempre più destinato a bruciare? Bene! Non possiamo risolvere la vostra ansia ambientalista, ma perlomeno possiamo segnalarvi un concorso lanciato dalla Peta – il famoso gruppo che mira a difendere i diritti degli animali – per trovare un’alternativa vegana alla lana. Non siete convinti, che lavorare aggratis non vi piace? Niente paura – Alessandro Borghese potrebbe non assumervi, ma in questo caso sul piatto c’è la bellezza di un milione di dollari, che naturalmente andranno in premio al vincitore del contest.
Lana vegana per maglioni amici dell’ambiente
Il Vegan Wool Challenge Award – questo il nome del sopracitato contest – promette, come accennato, di premiare la prima persona o la prima azienda che svilupperà un materiale che assomigli in modo convincente alla lana di pecora nella sua consistenza, funzionalità e aspetto. La parola d’ordine, naturalmente, è innovazione: “Da fiori e frutta a canapa e semi di soia, le opzioni sono illimitate quando si tratta di creare abbigliamento e accessori senza animali”, ha affermato il vicepresidente per l’Europa di Peta, Mimi Bekhechi. “Peta è lieta di promuovere l’innovazione che aiuterà a proteggere gli animali e fermare la distruzione ambientale causata dall’agricoltura animale”.
Unire l’utile al dilettevole, se vogliamo. E poi siamo in pieno novembre, ormai: è la stagione in cui si è circondati dai peggio maglioni – nulla di meglio per stimolare la creatività scientifica. Ci siamo già occupati di crudeltà sugli animali in passato, principalmente nel contesto degli allevamenti intensivi riportando indagini svolte sotto copertura in stabilimenti collegati a Lidl e KFC, ma anche la produzione di lana viaggia sugli stessi binari: rapporti pubblicati sul sito ufficiale della Peta mostrano dei lavoratori intenti a picchiare e calpestare le pecore in allevamenti nel Regno Unito, Australia e Stati Uniti.
Ma le controversie che circondano la produzione di lana non si fermano qui: secondo il Pulse Report, pubblicato dalla Global Fashion Agenda nel 2017, la lana è stata classificata come il quarto materiale peggiore per l’ambiente, subito dopo il cotone; mentre i tessuti sintetici come l’acrilico o il poliestere possono sorprendentemente vantare performance molto più eco-friendly.
Accuse, queste, che sono state ampiamente contestate dall’International Wool Textile Organization: “La lana è una delle fibre più sostenibili che l’uomo conosca”, ha affermato Graham Clark, direttore marketing di British Wool. “È rinnovabile e biodegradabile e quindi non contribuisce alla discarica allo stesso modo dei prodotti a base sintetica”. Lo stesso Clark ha anche respinto le accuse di crudeltà sugli animali: “I tosatori nel Regno Unito sono professionisti altamente qualificati che svolgono un dovere vitale di cura”, ha affermato. “La tosatura è un processo indolore ed è una parte essenziale della cura delle pecore, poiché non farlo può causare disagio e malattie”.
Ma sappiamo che scalpitate per il concorso della Peta. Ebbene, le regole sono semplici: il vincitore dovrà necessariamente essere un biomateriale, biodegradabile o riciclabile; e naturalmente deve “funzionare” come la lana (ossia mantenere caldo chi lo indossa). I partecipanti hanno tempo fino a luglio 2023 per presentare un campione di tessuto e un piano di produzione e, in caso di vittoria, avranno l’occasione di collaborare con “almeno uno dei 10 principali marchi di vendita al dettaglio di abbigliamento al mondo” per produrre e vendere articoli realizzati con il loro materiale. Oltre, sapete com’è, ad avere un milioncino in più in banca.