Dal primo riscontro di positività alla peste suina africana sono passati ormai quattro mesi. Se fino a pochi giorni fa i (numerosi) casi erano ristretti alla fascia boschiva che corre lungo il confine tra Liguria e Piemonte, e i territori immediatamente limitrofi a essa, il ritrovamento di un caso anche a Roma ha innescato un campanello d’allarme che in maniera inequivocabile ci informa che il morbo è già ampiamente diffuso. A tal proposito, Raffaele Nevi, vicepresidente del gruppo Forza Italia alla Camera e responsabile del dipartimento Agricoltura del movimento azzurro, ha proposto alcune misure per tamponare quanto prima l’emergenza: la ripresa dell’attività venatoria e la concessione agli agricoltori di abbattere i cinghiali selvatici.
Misure che, chiaramente, mirano a sfoltire il numero della popolazione di questi animali in modo da ridurre il rischio che questi entrino in contatto i maiali d’allevamento, infettandoli. Il prospetto, per questi ultimi, è infatti quello di un abbattimento preventivo nel caso di un sospetto contagio. Il deputato ha poi proseguito spiegando che per le recinzioni atte a delimitare le aree infette sarebbero necessari circa 250 milioni di euro, cifra ben lontana da quanto disposto finora. “Uno dei rischi da scongiurare a tutti i costi è il divieto di commercializzazione ed esportazione delle carni che potrebbe essere una delle conseguenze della diffusione massiva della peste nei suini” ha proseguito Nevi, riferendosi alle già ingenti perdite. “Al contempo, come diciamo da molto tempo, occorre mettere in piedi un piano serio di ‘controllo’ della proliferazione della fauna selvatica, con particolare riferimento ai cinghiali, anche facendo norme speciali attraverso un apposito decreto”.