Continua a far preoccupare l’imperversare della peste suina africana in Italia, con Piemonte, Liguria e il comune di Roma che si presentano come i tre principali poli di contagio, mentre il resto d’Italia comincia ad adottare misure preventive per allontanare il rischio. In questo contesto, Ilaria Capua è stata intervistata dai colleghi del Corriere della Sera per commentare i possibili rischi legati al morbo in questione: la virologa si è premurata di ribadire che, di fatto, il pericolo diretto per l’uomo è virtualmente nullo; tuttavia l’assenza di un vaccino funzionante obbliga a valutare l’opzione di un vero e proprio lockdown degli animali (con conseguente blocco delle esportazioni) nel caso in cui il virus dovesse penetrare nel settore suinicolo.
Un disastro di cui, in un certo senso, stiamo già sperimentando il preludio. Capua ha inoltre sottolineato come il virus in questione stesse di fatto circolando da anni nei Paesi dell’Europa centrale e in Cina: “Se entrasse nella filiera del suino in Italia sarebbe un colpo durissimo”, ha commentato. Il problema, come accennato, è la mancanza di un vaccino: se il morbo dovesse riuscire a entrare nella popolazione recettiva (o sensibile – in questo caso i suini da allevamento, per esempio) i numeri comincerebbero ad aumentare in maniera esponenziale. “La peste suina è una malattia che non vuole nessun Paese” ha continuato Capua. “Forse anche per questo non si avverte l’allarme che si nasconde dietro la notizia più di colore, i cinghiali tra i cassonetti. Abbiamo già l’infezione in tre regioni: Piemonte, Liguria, Lazio. La prima cosa da fare è capire se c’è un legame”.
Mancanza di vaccino che di fatto è in parte dettata anche dalla peculiare caratteristica della PSA di infettare esclusivamente i suidi. “Proprio per questa sua incredibile selettività, il vaccino non esiste” ha spiegato a tal proposito la virologa. “O meglio: non siamo riusciti a produrre un vaccino che abbia livelli di efficacia e sicurezza tali da poterlo mettere in commercio”.