Il focolaio di peste suina africana che occupa i boschi del Piemonte meridionale, parte della provincia di Genova e il Savonese continua a far parlare di sé: si tratta, numeri alla mano, del focolaio più massiccio sul territorio nazionale, con i primi casi che risalgono di fatto allo scorso dicembre e che, a oggi, continuano ad aumentare. Pare che le misure profilattiche adottate dalle autorità sanitarie e regionali, per di più, si stiano rivelando ampiamente insufficienti nel contrastare la diffusione del virus: i casi riscontrati lungo il confine della zona infetta e oltre la cosiddetta barriera anti cinghiali, che attualmente si allunga per 160 km, sono sempre di più; tanto che il ministero della Salute si è visto costretto a prendere atto delle nuove indicazioni della Commissione europea e allargare la zona infetta ad Asti e Piacenza.
Peste suina africana: numeri e difficoltà di una crisi in espansione
Stando a quanto dichiarato dalle stesse autorità sanitarie, a ovest sono stati inglobati Giusvalla e Dego (Savona), Bistagno, Terzo, Alice Bel Colle (Alessandria), Roccaverano, Monastero Bormida, Sessame, Montabone e Castel Rocchero (Asti). A est, Fascia, Gorreto, Propata, Rondanina (Genova) e due Comuni in Emilia Romagna, Zerba e una parte di Ottone (Piacenza).
La decisione di estendere l’ormai proverbiale zona rossa arriva in seguito alla scoperta di una carcassa di cinghiale rinvenuta nel territorio del Comune di Carrega Ligure, provincia di Alessandria, che di fatto è situato ben 10 chilometri oltre la barriera anti cinghiali.
Insomma, il timore di una diffusione verso i territori limitrofi, che potrebbe portare a un blocco dell’export e a relative perdite economiche (restrizioni da cui la Sardegna è uscita solo di recente), è vivo come non mai. A puntare il dito sul mancato rispetto delle regole e sulla carenza di soluzioni efficaci è soprattutto la Lombardia, con il dirigente regionale Marco Farioli che esprime “forte preoccupazione: la maggior parte delle richieste avanzate dalla regione Lombardia, benché previste dalle ordinanze commissariali e dai provvedimenti ministeriali, appaiono in gran parte disattese“.
La pietra dello scandalo, al di là della mancata osservanza di divieti come quello alle attività outdoor, pare ancora una volta essere la costruzione della recinzione, in netto ritardo a causa dei tempi lunghi nell’erogazione dei fondi statali. Non mancano, per di più, le difficoltà evidenziate dalla Regione Liguria “nell’avviare l’abbattimento dei cinghiali a causa del mancato supporto dei cacciatori“.
In definitiva manca il rispetto delle regole, manca il personale e mancano i fondi: l’Unità di crisi, spalle al muro, ha chiesto altri 90 milioni di euro per affrontare l’emergenza.