L’Agenzia francese per la sicurezza alimentare (Anses, per gli amici) potrebbe essere vicina alla chiave per “risolvere” la minaccia della peste suina africana. Il vaccino, tuttora in fase sperimentale, pare sia in grado di sviluppare sintomi minori – una leggera febbre, stando a quanto dichiarato – rispetto al morbo originale, ma naturalmente saranno necessari ulteriori verifiche per perfezionarlo e trasmetterlo all’industria farmaceutica. Ormai vecchia conoscenza del continente europeo, la peste suina vanta focolai importanti in Italia, in Germania e in Polonia; con la comunità scientifica che ha individuato come principale vettore dell’infezione gli spostamenti dei cinghiali selvatici.
Peste suina africana: la situazione in Europa e il vaccino francese
È bene notare che la peste suina africana, come d’altronde suggerisce il nome, è un virus che colpisce esclusivamente i suini – sia da allevamento che selvatici, come accennato poco fa -, non può essere trasmesso all’uomo e non ha cure. I rischi principali riguardano proprio la penetrazione del morbo negli allevamenti, uno scenario che porterebbe a ingenti danni economici e a un potenziale blocco delle esportazioni di carne, come avvenuto di recente in Sardegna.
“Nell’ambito del suo mandato di laboratorio nazionale di riferimento per la peste suina africana, l’Unità di immunologia virologica suina (Vip) del laboratorio Ploufragan-Plouzané-Niort dell’Anses ha inattivato il ceppo virale Georgia 2007/1, che attualmente circola nell’Unione europea” si legge nel sito dell’Anses. Durante il controllo di tale inattivazione è stato “casualmente evidenziato un ceppo attenuato, derivato dal ceppo Georgia”, che ha causato nell’animale infetto solo una leggera febbre, “mentre l’infezione da ceppo Georgia è generalmente fatale nel 100% dei casi”.
Gli studi si sono dunque concentrati sulle caratteristiche di tale “ceppo attenuato”, confermando l’emersione di sintomi deboli nella maggior parte dei suini contagiati per via intramuscolare o oronasale. “La vaccinazione per via orale potrebbe consentire di vaccinare i cinghiali utilizzando l’esca” ha spiegato Marie-Frédérique Le Potier, responsabile dell’unità Vip, mentre la “vaccinazione intramuscolare è il metodo più utilizzato negli allevamenti“.
È bene notare, per di più, che dopo circa due settimane dalla vaccinazione i suini infetti avevano sviluppato una risposta immunitaria all’infezione del virus della peste suina africana. Anche alla luce di tale successo, tuttavia, gli scienziati dell’Anses sono determinati a procedere con cautela, e precisano di avere continuato a lavorare sul cappo attenuato in modo tale da permettergli di moltiplicarsi in linee cellulare prodotte in vitro e non in cellule da prelevare dai maiali, come avveniva in partenza.
“Questo passaggio è stato un successo, aumentando la possibilità di produrre il vaccino su larga scala” hanno commentato i ricercatori. “Come bonus, il ceppo virale così prodotto ha causato meno sintomi rispetto al ceppo iniziale attenuato, pur mantenendo una buona efficacia. Gli studi sono ancora in corso per garantire che questo ceppo attenuato non possa essere trasmesso da un animale all’altro o diventare nuovamente virulento”.