La crisi innescata dal ritrovamento di qualche mese fa del focolaio di peste suina africana nei boschi che corrono lungo il confine tra Piemonte e Liguria non accenna a diminuire, anzi: con il più recente ritrovamento di una positività anche a Roma, il primo al di fuori dell’area originale, pare che l’emergenza continuerà a tormentare per diverso tempo il settore di appartenenza, che di fatto sta già rimettendo circa 20 milioni di euro al mese di export.
Non che eliminando il capitolo ‘peste suina’ la situazione sia delle più allegre: le aziende del settore in questione si stanno trovando anche a fare i conti con gli aumenti dei costi dell’energia, dei materiali necessari al confezionamento come plastica e cartoni, dei trasporti e delle materie prime. Oltre al danno al portafoglio, inoltre, occorre considerare che l’emergenza peste “espone le aziende al rischio di ulteriori danni, se la malattia veterinaria dovesse diffondersi nei territori a maggior intensità di allevamenti suinicoli e aziende di trasformazione”, ha spiegato Ruggero Lenti, presidente di Assica, Associazione Industriali delle Carni e dei Salumi.
Uno scenario che, se dovesse attuarsi, andrebbe a mettere a rischio le produzioni di Parma e San Daniele. “A quattro mesi dal ritrovamento della prima positività al Nord Italia” ha continuato Lenti “non è più possibile temporeggiare: è necessario completare al più presto il posizionamento delle barriere fisiche di contenimento, delle reti ove necessarie, atte ad evitare la movimentazione dei cinghiali dalle zone interessate dal virus ed è urgente avviare una politica di controllo della popolazione dei selvatici”.