Il settore italiano della pesca continua a essere scosso da forti tensioni: dopo le più recenti richieste dell’Alleanza delle cooperative, che vertevano sull’introduzione di un credito di imposta e l’accesso ad ammortizzatori sociali come la cassa integrazione, ecco che molte marineria della penisola tornano a incrociare le braccia e attraccare i pescherecci al molo come segno di protesta per il caro gasolio che sta mettendo in ginocchio l’intera filiera.
Il prezzo del carburante rimane, infatti, di gran lunga la voce più gravosa nel bilancio economico delle aziende e delle imprese attive nel settore in questione, con molte che a malapena riescono a coprire le spese necessarie a lavorare. Come avevano spiegato i pescatori sardi una decina di giorni fa in occasione di una protesta davanti alla sede della Provincia di Oristano, infatti, ogni piccola imbarcazione consuma, in media, circa un migliaio di litri di carburante alla settimana, con battute di pesca che si compongono di uscite da un’ora o un’ora a mezza sia per l’andata che per il rientro.
Un problema che chiaramente non può essere aggirato (anche perché quale sarebbe l’alternativa? Andare in mare a remi?) e che ha coinvolto molte delle Regioni italiane. In questo contesto spicca soprattutto l’ammonimento lanciato dal presidente della Confcommercio di Pescara, Riccardo Padovano, che aveva sottolineato il rischio concreto di non vedere più il pesce locale sulle tavole dei locali e delle famiglie abruzzesi.