Pesca industriale sotto accusa: è responsabile del 26% dei detriti nell’isola di plastica

La pesca industriale di una manciata di Paesi sta alimentando la grande isola di plastica che galleggia nell'Oceano Pacifico settentrionale.

Pesca industriale sotto accusa: è responsabile del 26% dei detriti nell’isola di plastica

Secondo le più recente analisi condotte dagli esperti dell’organizzazione no-profit The Ocean Cleanup le attività di pesca industriale starebbero alimentando la grande isola di plastica che, come un monito della nostra stessa negligenza, galleggia nelle acque dell’Oceano Pacifico. Nello specifico, i ricercatori hanno peso in esame ben 573 chilogrammi di detriti, tutti raccolti nel lasso di tempo compreso tra giugno e novembre 2019 dalla sopracitata isola, e li hanno ispezionati alla ricerca di scritte, loghi o altri elementi che potessero testimoniarne la provenienza. I risultati, come accennato, parlano chiaro: se il 33% dei frammenti non è purtroppo risultato identificabile, il 26% deriva invece da attrezzatura comunemente utilizzata per l’attività di pesca.

pesca

I risultati, poi pubblicati anche sulla rivista Scientific Reports, indicano per di più che nonostante salvagenti e boe – altri oggetti riconducibili alla pesca – rappresentino appena il 3% degli oggetti presenti nell’isola di plastica, essi costituiscono il 21% della massa complessiva. Interessante notare, per di più, che gli scienziati sono riusciti a identificare con certezza il Paese di origine di ben 232 detriti: il 34% arrivava dal Giappone, il 32% dalla Cina, il 10% dalla Corea del Sud, il 6% dagli Stati Uniti, il 6% da Taiwan e il 5% dal Canada. Analizzando i modelli di circolazione delle correnti oceaniche, inoltre – ricordiamo infatti che la stessa isola che si è venuta a formare nel contesto di un vortice oceanico, il giro subtropicale del Pacifico settentrionale – i ricercatori sono arrivati alla conclusione che la probabilità che derivino da attività di pesca è dieci volte superiore alla possibilità che derivino da attività svolte sulla terraferma.

In definitiva, lo studio sottolinea la necessità di una maggiore trasparenza da parte delle società che svolgono attività di pesca industriale e una più attenta attività di monitoraggio – e questo nonostante le parole incoraggianti dell’ONU.