Vale la pena notare, al netto di slogan più o meno roboanti, che la flotta italiana non sempre si muove in acque limpide. I nostri lettori più attenti, tanto per fare un esempio, ricorderanno che il nostro caro e vecchio Stivale è di fatto stato il solo Paese europeo a difendere apertamente la pesca a strascico quando venne ventilata l’introduzione – graduale, beninteso – di un divieto su scala comunitaria. Il timore, in realtà ben comprensibile, è che rimuovendo tale pratica, notoriamente dannosa per l’ecosistema marino, si finisse per mandare in rosso la bilancia commerciale della pesca, con conseguente mutilazione dei posti di lavoro. Preoccupazione legittima, lo ripetiamo, ma che non può che innescare una domanda: ma per quale motivo un settore così importante si affida in maniera tanto pesante a una pratica del genere?
Un secondo punto d’ombra arriva da un recente rapporto redatto dal WWF, che di fatto denuncia l’Italia come primo consumatore nel contesto europeo di cassette in polistirolo per i pesci. Un piccolo spoiler: nonostante la mole di polistirolo impiegata ne ricicliamo comunque una piccolissima parte.
Pesca e polistirolo: c’è un modo per farne a meno?
“L’EPS o polistirene espanso, proveniente dalle attività di pesca è ancora tra i principali rifiuti abbandonati in mare o sulle nostre coste”, si legge nel rapporto in questione. “Ad oggi le cassette monouso in polistirene espanso sono ancora ampiamente usate nella pesca italiana, anche a livello artigianale”.
Al di là della sua evidente convenienza è tuttavia bene notare che il polistirolo, una volta disperso nell’ambiente, tende a “frantumarsi in milioni di microplastiche” danneggiando notevolmente l’ecosistema marino, soprattutto “a causa di additivi chimici rilasciati in mare nel corso del tempo e che aggiungendosi ai contaminanti presenti in mare possono essere rilasciati negli organismi marini che le ingeriscono”.
L’Italia, dicevamo, ha la maglia nera in Europa per l’impiego di cassette in polistirolo nell’ambito della pesca. Attenzione, però: WWF non si limita a puntare il dito, ma a onore del vero accompagna la (doverosa) segnalazione a una potenziale chiave risolutiva, come l’utilizzo di imballaggi alternative come cassette monouso (es. EPS riciclato, cartone ondulato e bioplastica) e cassette riutilizzabili (es. plastica dura e legno).
A dirla tutta il “candidato” perfetto per soppiantare le cassette in polistirolo è già stato individuato. Nel 2023, infatti, il WWF ha avviato una sperimentazione nel contesto del progetto Re-thinking Fish Box con l’intenzione di scovare l’alternativa più sostenibile: “La soluzione individuata è stata sviluppata ad hoc ed è costituita da cassette riutilizzabili in legno con vassoio monouso in XPS riciclato e riciclabile” si legge nel rapporto. “Tale soluzione rappresenta un’innovazione per il settore della pesca, pur necessitando ancora di modifiche strutturali necessarie ad incontrare i bisogni pratici del settore come si evince dai feedback ricevuti dagli utilizzatori del prodotto sperimentale”.
L’invito dell’organizzazione è quella di intraprendere una ricerca volta a “identificare soluzioni adatte ed applicabili ai differenti contesti territoriali”, tenendo conto delle variabili contestuali – come le normative igienico-sanitarie per il settore pesca – e locali – come le disponibilità economiche e organizzative delle realtà territoriali della piccola pesca -; e soprattutto “aggiornare il quadro normativo sulla base delle specificità del settore”. L’alternativa? Continuare a ingoiare l’equivalente in plastica di una carta di credito ogni volta che mangiamo del pesce.