Nelle acque della Nuova Zelanda ben tre pesci su quattro presentano tracce di microplastiche – e il resto della fauna marina non se la passa particolarmente meglio. Stando al più recente rapporto sullo stato degli oceani del Paese, redatto dallo stesso Ministero dell’Ambiente, il il 90% degli uccelli marini indigeni, l’82% degli uccelli costieri indigeni, l’81% delle specie di invertebrati marini valutati e il 22% delle specie di mammiferi marini sono stati classificati come in via d’estinzione o comunque in uno stato di forte pericolo. Le cause, di fatto, sono molteplici: gli oceani stanno diventando sempre più caldi e acidi, risultando inabitabili per diverse specie autoctone, mentre ogni anno migliaia di uccelli marini (più di 4 mila, secondo il report in questione) vengono uccise in maniera collaterale dalle attività di pesca.
Il quadro tracciato dalle autorità ambientali è complessivamente tetro, ma a onore del vero va detto che in alcune misure sono emersi timidi miglioramenti: nelle misure nazionali per l’inquinamento da nutrienti sotto forma di azoto e fosforo, ad esempio, sono stati più numerosi i siti con tendenze in miglioramento. Nascondere la realtà effettiva delle cose dietro una patina di illusione, tuttavia, è ampiamente inutile: lo stesso portavoce del partito dei Verdi, Eugenie Sage, ha affermato che il rapporto “racconta una storia decennale di negligenza del governo quando si tratta della salute dei nostri oceani”.
“La salute dei nostri oceani si sta deteriorando a un ritmo allarmante e rischiamo di perdere per sempre habitat preziosi”, ha affermato, chiedendo una maggiore regolamentazione del settore della pesca, un divieto per la plastica monouso e l’espansione dei cosiddetti santuari oceanici. Il gruppo di conservazione Forest and Bird ha invece definito i risultati come una vera e propria “crisi”, affermando in una dichiarazione che “la vera portata della crisi che colpisce gli oceani potrebbe essere molto peggiore perché i rischi di estinzione che corrono la maggior parte dei mammiferi marini, dei pesci e degli invertebrati rimangono sconosciuti, a causa di mancanza di ricerca”. In altre parole, occhio non vede e cuore non duole… Finché il cambiamento climatico non presenta il conto.