Il disarmo delle imbarcazioni “minacciato” da molte delle imprese operanti nel settore della pesca, con annesso licenziamento dei propri dipendenti, costerebbe il posto di lavoro a ben 25 mila lavoratori, che di fatto si troverebbero senza reddito in un momento di forte tensione sociale ed economica. A tal proposito l’appello di Fai, Flai e Uila Pesca è quello di ripensare la misura di cui sopra, pena l’innescare “un vero e proprio massacro sociale”.
Se le associazioni di cui sopra riconoscono e comprendono appieno lo stato di disagio e difficoltà delle imprese, causato dal susseguirsi di due anni di pandemia e poi dallo scoppio della guerra in Ucraina che di fatto ha impennato ulteriormente i costi del lavoro, non possono condividere la soluzione proposta. Costi del lavoro che, come accennato, sono saliti alle stesse a causa degli aumenti al gasolio, che di fatto rappresenta una delle voci più ingenti nel quadro economico delle imprese del settore, e che – a oggi -non è ancora stata smorzata dalle misure contenute nel Decreto Energia dello scorso marzo.
“La Cisoa pesca (Cassa integrazione salariale operai agricoli) è una scatola vuota” dichiarano inoltre i sindacati nel sottolineare la necessità di una misura di ammortizzazione sociale atta a sostenere il reddito dei lavoratori del settore. “Non solo è inutilizzabile ma rappresenta un ulteriore costo per le imprese che da gennaio di quest’anno hanno cominciato a pagare”. In questo contesto, le associazioni di categoria inoltrano nuovamente al Governo una richiesta di immediato intervento economico in modo da evitare il blocco delle attività di pesca; che di fatto “rappresenta uno dei settori strategici per gli obiettivi di sicurezza alimentare, ancora più evidente in tempi di pandemia e di guerra”.