La matematica non è un opinione. Con il costo del petrolio che si è impennato del 90% rispetto allo scorso anno (e le previsioni non sono certo più rosee, con la recente invasione dell’Ucraina da parte della Russia), il settore della pesca italiano si trova a dover prendere una scelta: navigare e lavorare in perdita, oppure tagliare le uscite facendo aumentare le importazioni. O ancora, mobilitarsi in un movimento di protesta, un po’ come stanno facendo i colleghi di terra negli ultimi giorni.
Secondo un’analisi redatta da Coldiretti, si calcola che oltre la metà dei costi che le aziende ittiche italiane sostengono è rappresentata dal carburante. Va da sé che con i recenti rincari (che, come abbiamo anticipato, potrebbero peggiorare ancora), la situazione corre verso l’insostenibilità economica. Chiaro, non che lo stato del comparto ittico, prima della crisi energetica, fosse già dei migliori: ricordate le recenti imposizioni dell’Unione Europea, che hanno limitato le uscite in mare di circa un terzo?
La richiesta di Coldiretti è quella di “un impegno forte del Governo e del Ministero delle Politiche agricole per spingere l’Ue a fare marcia indietro sui drastici tagli alle attività e rimettere al centro delle scelte strategiche dell’Italia il settore della pesca”.