Pesca eccessiva, microplastiche e, più recentemente, un’impennata della popolazione di meduse: questi i problemi che maggiormente minacciano sardine e bche, secondo le analisi di uno studio dell’Istituto spagnolo di oceanografia (Ieo), hanno visto ridurre la propria popolazione del 45%.
Dietro al maggior numero di meduse c’è, manco a dirlo, anche il cambiamento climatico: a Malaga, dove sardine e acciughe trovano rifugio e sono la base della cucina autoctona, i ricercatori locali hanno notato che la linea costiera era popolata da meduse arenate, un fenomeno che normalmente si verifica nella stagione estiva. Con l’aumento della temperatura del mare (e la pesca eccessiva di tonno e pesce spada, predatori naturali della medusa), ecco che si crea l’ambiente ideale per la loro moltiplicazione.
Il timore è che anche nel Mediterraneo si ripeta lo stesso fenomeno che ha avuto luogo nel Golfo del Bengala, dove le meduse hanno proliferato più di ogni altra specie a causa dello sconvolgimento dell’ecosistema. Il problema di una popolazione più massiccia di questi invertebrati, infatti, va bene al di là di qualche puntura extra: le meduse si sviluppano in enormi sciami in prossimità di canyon sottomarini, che è anche il luogo in cui le acciughe depongono le uova, di cui le meduse sono ghiotte.
Non solo uova di acciughe, però: le meduse si nutrono anche di plancton, e dunque una maggiore presenza di questa specie incide anche sui pesci che seguono la stessa dieta. La soluzione? Per il gruppo di ricerca dell’Istituto spagnolo di oceanografia è molto semplice: porre fine all’eccessivo sfruttamento dei predatori di meduse, come il tonno, gli squali e il pesce spada e recuperare le popolazioni di tartarughe, golose di questi animali. Poi eliminare l’inquinamento e ridurre la pesca intensiva, permettendo agli stock di sardine e acciughe di recuperare in quantità e qualità. Nel frattempo, vorrà dire che René bavrà più meduse con cui sperimentare per il nuovo menu del Noma.