Una retromarcia – che in realtà una retromarcia non è, come vedremo tra poco – per calmare le proteste. Nel corso delle ultime settimane le pescherie di un po’ tutta Italia hanno organizzato proteste scontro la proposta europea di vietare gradualmente la pesca a strascico, operazione che, a causa delle reti che vengono “trascinate” sul fondale, è in grado di causare danni piuttosto ingenti al delicato ecosistema marino. Le proteste naturalmente si sono raccolte sotto il vessillo della tutela dei posti di lavoro, e sono state così numerose – in Italia così come nel resto d’Europa – da richiedere un chiarimento da parte del commissario all’ambiente Virginijus Sinkevicius.
Pesca a strascico, tra proteste ed ecologisti
Prima di gettarci nella cosiddetta ciccia della questione, è bene notare che, come già accennato in apertura, l’obiettivo del taglio alla pesca a strascico sarebbe quello di salvaguardare gli stock ittici e più in generale la salute dei mari e degli oceani andando a limitare, ove possibile, l’impiego di tecniche potenzialmente danneggianti. Il pacchetto, battezzato Marine Action Plan, punta dunque a una progressiva rinuncia alla pesca a strascico entro il 2030 nelle aree marine protette; anche se le autorità europee hanno previsto una prima stretta nel ben più vicino 2024 con l’eliminazione di novanta zone di pesca.
Da qui partono le sopracitate proteste – timore (fondatissimo e legittimissimo) di perdere il lavoro, paura delle ripercussioni economiche, critica all’ormai consueto cortocircuito che permetterebbe alle flotte extra UE di continuare indisturbate a esportare i propri carichi pescati a strascico.
Arriviamo dunque alle parole di Sinkevicius, intervenuto durante il dibattito in Plenaria riguardante le mosse di Bruxelles nel settore degli oceani e della pesca. Il commissario ha specificato che il piano in questione “non introduce un divieto di pesca a strascico ma reputiamo necessario prevenire che le aree marine protette subiscano l’impatto di pratiche di pesca dannose”.
“Sono fiducioso che riusciremo a trovare consenso sugli obiettivi del nostro piano d’azione e sull’approccio” ha continuato Sinkevicius, aggiungendo di avere l’aspettativa che i 27 “rispettino i loro impegni politici sulla tutela ambientale”. Più che retromarcia, dunque, si può parlare di chiarimento: non si tratta di un divieto totale, ma di una stretta per evitare che le aree di pesca vadano incontro a uno spopolamento degli stock ittici (pensiamo al caso dello sgombro) o, nei casi più gravi, alla desertificazione del fondale marino.
La linea italiana, nel frattempo, pare essere impiantata su una solida opposizione, con il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida che si starebbe muovendo per coordinare e rafforzare il dissenso di altri Paesi nei confronti di queste misure.