Immaginiamo che sia necessario fare un paio di appunti, che d’altro canto l’espressione “ristorante di Faccetta Nera” non potrà che – o almeno ci auguriamo – avere fatto alzare qualche sopracciglio. La pietra dello scandalo, se così vogliamo definirla, è un breve video segnalato da un lettore a Il Fatto Quotidiano e poi prontamente pubblicato dalla versione online del giornale.
Video breve, dicevamo, ma soprattutto eloquente: siamo a Roma, il calendario segna il 25 di aprile, e il nostro protagonista incappa in un ristorante che trasmette a tutto volume Faccetta Nera. L’anacronismo non potrebbe essere più nitido: nella giornata in cui lo Stivale celebra la Liberazione del nazifascismo c’è chi, tra colpi di tromba gonfi di solennità e tumide promesse di conquista, è evidentemente ancora nero. Di rabbia, si capisce.
Qui si vuole apparire e noi li si censura: ma perché?
Il video in questione, che come abbiamo accennato in apertura di articolo è stato ripreso da Il Fatto Quotidiano, è censurato da alcuni aloni sfocati che nascondono, puntualmente ma inspiegabilmente, il nome del locale (nonostante, è bene notarlo, il nostro protagonista si faccia premura di inquadrarne l’insegna). La domanda ci sorge spontanea – se c’è qualcuno di evidentemente tanto orgoglioso di indossare la camicia nera da trasmettere uno dei più celebri canti fascisti durante il 25 di aprile, perché non pubblicarne il nome?
Di diffamazione, sia chiaro, non si tratta: a onore del vero c’è chi potrebbe sostenere che esibirsi in un teatrino del genere il 25 di aprile sia un atto diffamante già di per sé. Perché censurarne l‘insegna, dunque? Pubblichiamola, diciamo noi, in bella vista e in alta definizione, senza comodi aloni che permettono di stemperare la causticità della segnalazione: facciamo intendere che, a oggi e in Italia, qualcuno con il braccio bloccato a quarantacinque gradi c’è ancora, e magari evitiamo di raccontarci la storia che stia semplicemente facendo segno al bus di fermarsi (bus che arriva in orario, beninteso).
Una denuncia, o se preferite un termine meno pruriginoso (e spaventoso: più lontano dal legalese) una segnalazione, diventa tale quando è chiara, netta, precisa – con nome e cognome, per l’appunto. Una segnalazione, per essere efficace ed effettiva, deve indicare contro chi si sta puntando il dito: altrimenti altro non è che una scusa per indignarsi, per fare belle parole piene di vento, per attirare il plauso senza mai scendere veramente in scena; e per poi, come si suol dire, gettare la spugna con gran dignità.