È qualche giorno che con esimi colleghi ci chiediamo: perché non esiste un Michael Pollan italiano?
Perché nel nostro paese non c’è un food writer fatto e finito, competente, serio, indipendente, ironico e secchione allo stesso tempo?
Nomino il giornalista americano de “Il dilemma dell’onnivoro” ma potrei citare l’inglese Jay Rayner del Guardian o Jeffrey Steingarten di Vogue (venerdì esce il suo meraviglioso libro “L’Onnivoro“).
E allora, superficialmente, provo a rispondere.
— In Italia non c’è Michele Pollàno perché rispetto al mondo anglofono siamo piccini picciò.
— In Italia non c’è Michele Pollàno perché gli editori della carta stampata in realtà sono poco interessati al cibo, che imperversa sì sulle TV ma gode di poco approfondimento sulle pagine di giornali e riviste. Se nelle redazioni ci fosse un food writer ogni dieci giornalisti sportivi e ogni trenta cronisti parlamentari saremmo a cavallo.
— In Italia non c’è Michele Pollàno perché onestamente a tanti giornalisti piace magnà, beve, viaggià e divertirsi ma studiano troppo poco.
L’unica speranza per far nascere un Michele Pollàno nel nostro paese sono i lettori.
Sono arciconvinto che se un giornale, una rivista decidessero di dar finalmente spazio a un food writer di vaglia, troverebbe un pubblico entusiasta.
Non è vero che il pubblico non desideri di meglio di quel che ha: se si è abituati a mangiar sottilette, ci si contenta delle sottilette.
Ma se ti danno il Castelmagno, non torni più indietro.