Perché mai il “minimum spending” al ristorante ci scandalizza così tanto?

Il vincolo a ordinare come minimo due pietanze a testa ha catapultato un ristorante di Camogli nella bufera mediatica, ma la polemica è sterile per molte ragioni.

Perché mai il “minimum spending” al ristorante ci scandalizza così tanto?

Evidentemente questa è l’estate della polemica sterile. L’ennesima travolge un ristorante in Liguria, perché la proprietaria ha posto un vincolo minimo sulle pietanze da ordinare, per ogni cliente. In pratica si tratta di un minimun spending, ovvero uno stratagemma per garantirsi almeno un minimo di guadagno da ogni commensale.

Insomma tra sovrapprezzi su coperti e servizi extra, conti ritenuti spropositati, gente che fugge e ora anche la scelta imprenditoriale dei ristoratori abbiamo coperto un bel ventaglio eterogeneo di argomentazione. Come spesso capita eccoci come voce fuori da coro, a spiegare perché quella descritta sia una scelta da rispettare. E soprattutto non è una novità.

Minimo due portate o niente cena: sì o no?

pasta e cozze

La risposta è, più che sì o no, perché no? Una decisione più comune di quanto ci si aspetti, e che è messa in pratica da molto tempo. Il vincolo a un minimo d’acquisto per godere del servizio o dell’esperienza è una strategia come un’altra, per esempio come quella di proporre alcune pietanze nel menu ma solamente se sono più commensali a ordinarle per lo stesso tavolo. Sono tante le questioni da valutare, e che portano a decisioni come quella raccontata da parte del ristorante ‘Sâ’ di Camogli. Il guadagno minimo garantito è la prima, ma ci sono anche l’ottimizzazione della materia prima, la funzionalità della brigata di cucina, e la tipologia di ristorante.

L’estate in cui ci siamo accorti che la gente scappa dal ristorante senza pagare L’estate in cui ci siamo accorti che la gente scappa dal ristorante senza pagare

Quello sotto accusa, per esempio, ha meno di venti coperti e lavora su un turno soltanto: ordinare minimo due pietanze a testa è per la titolare Valentina Mura una decisione per mantenere la qualità proposta ai clienti e il guadagno. La donna si difende su Il Secolo XIX: “la scelta è stata fatta per riuscire a mantenere un livello di qualità senza dover tagliare sui prodotti o sul personale. Ma chi arriva può stare quanto vuole“. Giusta precisazione, perché forse tutti gli indignati (o quelli che sarcasticamente citano “la celebre ospitalità ligure”) si dimenticano che sempre più ristoranti (di ogni tipologia, dagli stellati agli All you can eat) adottano un limite temporale per consumare il pasto, oppure impongono fasce orarie limitanti per accaparrarsi un tavolo.