Non starò qui a fare questioni di campanili: non m’importa se il tramezzino sia nato a Torino, a Venezia o a Canicattì (cioè, io tifo per Torino, ma è un altro discorso).
Quello che invece voglio dire è che è incredibile che nell’anno del signore 2019 sia così difficile trovare buoni tramezzini nei bar italiani.
Ma porca paletta: tra le tante cose squisite inventate nel Buon Paese il tramezzino, nella sua semplicità, ha un ruolo rilevante.
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È veloce, goloso, versatile, gastronomico per natura: se il panino ha nelle farce di salumi e formaggi la morte sua, il tramezzino vive di creme, di salse, di preparazioni.
Eppure. Eppure negli anni i tramezzini nei bar sono diventati sempre più tristi, fino a trasformarsi nel fantasma di se stessi, nei distributori automatici, nei sacchetti dei treni, nelle scatolette di plastica dei discount.
Il fatto che questo sia avvenuto non mi stupisce troppo –quanti ottimi prodotti italiani sono stati bistrattati–, quello che mi spiazza è che negli ultimi tempi c’è stata tutta una new wave di panificatori eppure il tramezzino non sembra averne giovato.
Oggi qualsiasi città italiana ha panetterie pazzesche i cui titolari sfornano meraviglie. Farine, lieviti, filosofie nuove.
Ciononostante, forni che producano pane da tramezzino davvero eccezionale non ne conosco (Il Caffè Mulassano di Torino, che ha il pane migliore che conosca –etereo, aereo, quasi evanescente–, si rifiuta garbatamente di dirmi chi glielo faccia), ma di certo ce ne saranno.
Allora propongo un’alleanza:
– grandi panificatori italiani, mettetevi a fare del grande pane da tramezzino;
– grandi bar italiani, compratelo e farcitelo con le vostre leccornie;
– riportiamo in auge una delle semplici meraviglie di questo paese.
Il tramezzino deve trionfare.