Da oggi i dipendenti di McDonald’s in Giappone potranno spuntare al lavoro con un ciuffo bianco o la tintura rosa: il pagliaccio dalla tuta gialla ha dato l’ok. L’imposizione ai propri dipendenti di non tingere i capelli è atipica per l’Occidente, ma non per il Paese del Sol Levante, dove “uniformazione” è stata per secoli la parola d’ordine nella società.
Una lunga chiusura al mondo esterno
La natura insulare del Giappone si è sempre riflettuta sulle abitudini sociali e commerciali del Paese, a lungo restio ad accettare interferenze o influenze esterne di qualsiasi tipo. Persino un’azienda simbolo della globalizzazione come McDonald’s ha dovuto mimetizzarsi tra le usanze locali, proponendo hamburger di pollo in salsa teriyaki e Tsukimi Pie, dolcetti per festeggiare un’importante celebrazione autunnale del luogo. Certo, anche altrove il brand giallo e rosso adatta in parte il menù alle basi in cui si stabilisce, ma in questo angolo di mondo la regola vale ancora di più.
La storica chiusura del Giappone si rispecchia anche nell’aspetto estetico e nelle caratteristiche fenotipiche (colore della pelle e dei capelli, forma degli occhi) della popolazione: pelle chiara, occhi a mandorla e capelli corvini. È raro – ma non più impossibile – imbattersi in un nipponico con tratti diversi da questi: il gruppo etnico yamato, nativo dello Stato insulare, è dominante e a lungo rimasto immutato.
Cambio di direzione
Ma intorno agli anni ’90 la nuova generazione del Paese asiatico ha iniziato a ribellarsi alle rigide regole di conformità, dando vita a un movimento chiamato Chapatsu, una tendenza che portava gli adolescenti a decolorare o tingere i capelli per allontanarsi dai canoni prestabiliti. Solo di recente, però, le istituzioni hanno iniziato a ufficializzare la possibilità di essere diversi. Nel 2022, per citare un esempio, gli istituti superiori della prefettura di Tokyo hanno abolito l’imposizione dei capelli corvini; rivoluzione necessaria anche a fronte dell’aumento (lento, ma inesorabile) del numero di individui di etnia mista, nati da almeno un genitore straniero con caratteristiche fenotipiche che si discostano dalla norma.
McDonald’s, che già qualche anno fa aveva rimosso per i suoi dipendenti il divieto di portare la barba, sta facendo i conti con queste evoluzioni. Per adeguarsi e rendersi un datore di lavoro più appetibile agli occhi dei giovani (esiste un altro target di dipendenti per il Mc?), anche il colosso del pagliaccio ha deciso di accettare capigliature di vario colore. Da domani, quindi, ordinare un Cheese Tsukimi da una ragazza con le mèche verdi sarà finalmente una cosa normale.