In quel di Pechino comincia a prendere forma lo spettro di un nuovo lockdown. I sintomi sono gli stessi che ormai abbiamo imparato a riconoscere (e, si potrebbe dire, a detestare): corse ai supermercati per riempire le dispense nel timore di restare in casa, lunghe code ai centri adibiti dalle autorità sanitarie per fare i tamponi. Autorità sanitarie che, di fatto, continuano a opporsi al Covid adattando una linea dura, severa: basta un piccolo accenno di aumento di casi per far scattare il “fermi tutti”.
Il timore dei cittadini di Pechino è, tra l’altro, fomentato dalle notizie che giungono da Shanghai, che invece giace bloccata da settimane: numerose immagini mostrano i centri in cui vengono tenute le persone positive, con bagni comuni e condizioni di vita per molti inaccettabili; mentre altri sono stati costretti a rimanere chiusi in casa per giorni senza la possibilità di alcun tipo di rifornimento. Linea severa, come abbiamo accennato. “Vinceremo sicuramente e daremo maggiori contributi al mondo” ha commentato a tal proposito il portavoce del ministero degli Esteri Wang Wenbin.
Al momento, l’epicentro del focolaio di Pechino è stato individuato nel distretto di Chaoyang, zona di uffici, centri commerciali e ambasciate; con una popolazione di circa 3,5 milioni di residenti che si dovranno sottoporre a tre tamponi in sei giorni per potere uscire di casa (e questo solo, naturalmente, in caso di esito negativo).