“Da napoletana non mi capacito che la gente mangi la pastiera tutto l’anno.
La pastiera è un dolce pasquale, si prepara solo in quel periodo lì”: così mi dice ieri Giovanna Esposito che con Lydia Capasso ha scritto “Santa Pietanza – Tradizioni e ricette dei santi e delle loro feste” (con le illustrazioni del re della china barolata, Gianluca Biscalchin; Guido Tommasi Editore).
Il libro di Giovanna e Lydia –come il loro precedente “Gli Aristopiatti“– è un ricettario sui generis, fatto sì di preparazioni ma soprattutto di storie.
Raccoglie le più golose ricette tradizionali legate ai santi, alle festività religiose, ai momenti dell’anno e per ognuna c’è un aneddoto, una storiellina, una curiosità che racconta un’Italia in estinzione, in cui la cucina era rito e pure magia.
Un’Italia in cui non c’erano i congressi gastronomici o i raduni di food truck e le feste patronali erano l’unica occasione per mangiare quelle particolari frittelle, il pane del santo, i babbaluci.
Ora: non voglio fare il retrogrado, ma quell’attesa, quell’unicità, il rito costruito anche attorno a un piatto mi piacevano.
E da quando una cosa si può avere sempre, in ogni giorno del calendario, a ogni latitudine, un po’ di meraviglia s’è persa.
Ma è facile recuperarla: non bisogna cambiare il sistema, basta cambiare se stessi.
D’ora in poi, lo prometto, mangerò la pastiera solo a Pasqua.
E le uova ripiene –sono un must natalizio della mia famiglia– solo a dicembre.
E le lumache esclusivamente a San Giovanni. Me le godrò di più.
E certo i restanti giorni dell’anno troverò qualcos’altro con cui sfamarmi.