Ci avevano provato, i pastai industriali italiani, ad affossare il decreto che renderà obbligatorio, a partire da febbraio 2018, indicare in etichetta la provenienza del grano utilizzato per la pasta.
A settembre Aidepi, l’associazione dei pastai, aveva presentato ricorso al Tar del Lazio per chiedere la sospensione del decreto, ritenendo che non informasse a dovere il consumatore, spingendolo a considerare l’origine del grano come unico parametro valido per un prodotto di qualità.
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Alcuni industriali, tra cui Barilla, hanno sottolineato come il ricorso al grano straniero sia necessario, essendo il grano prodotto in Italia insufficiente a sotenenere la produzione di pasta, con un deficit del 45% del grano duro e del 60% del grano tenero, motivo per cui si deve necessariamente importare il grano, sia dall’Europa che da Paesi extra UE
Il Tar del Lazio ha respinto il ricorso, confermando il diritto dei consumatori alla massima trasparenza delle informazioni, compresa la conoscenza del luogo di provenienza del grano.
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Il decreto stabilisce che la pasta secca prodotta in Italia dovrà riportare in etichetta, in modo visibile e indelebile, il Paese in cui il grano è stato coltivato e quello il cui è stato macinato.
Un diritto legittimo e sacrosanto che non deve scadere in una crociata protezionistica, né far dimenticare che l’indicazione di provenienza del grano non è da sola un parametro di qualità, visto che altri Paesi producono frumento di ottima qualità, a volte anche migliore di quello nazionale.
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Il provvedimento, firmato dai ministri Carlo Calenda e Maurizio Martina, entrerà in vigore come previsto prima del ricorso di Aidepi al Tar del Lazio, il 17 febbraio 2018.
[Crediti: Il Sole24Ore]