Il grano duro ha messo a segno, nel corso dell’ultimo anno, una serie di aumenti di valore che hanno portato i suoi prezzi a levitare fino all’80%. Ciononostante, però, le ripercussioni sui prodotti finali, come la pasta simbolo della cucina nostrana, dovrebbero essere relativamente contenute: stando infatti alle previsioni stimate da Francesco Divella, amministratore delegato dell’omonimo pastifico, il costo della pasta dovrebbe incrementare al massimo di tre euro testa l’anno, calcolato su una base di consumi di 24 chili pro capite.
Un rincaro che di fatto non ha quasi nulla a che fare il blocco delle esportazioni dell’Ucraina, che invece è conosciuta per la produzione di grano tenero, ma che è legato agli aumenti ai prezzi di gas, dell’energia e degli imballaggi. Occorre considerare, inoltre, che la produzione nazionale sia in grado di soddisfare il 60-65% della domanda complessiva, mentre il restante viene tradizionalmente importato da Francia, Grecia e Nord America; anche se in ogni caso sarebbe più auspicabile attendere la campagna di giugno e luglio prima di salpare sulla nave dell’ottimismo.
Come accennato a impattare sui rincari del prodotto finale sono in parte anche gli incrementi ai costi degli imballaggi, “balzati dopo l’inizio della guerra. Per imprese energivore come la nostra sono costi pesanti” sottolinea Francesco Divella. Anche in questo contesto, la speranza è che “la guerra e il blocco delle esportazioni ucraine finiscano al più presto”.