Quando leggete “grano italiano” sulla vostra confezione di pasta vi sentite tranquilli, rassicurati dalle garanzie del nostro made in Italy? Ebbene, fareste meglio ad aprire un po’ gli occhi, almeno a quanto sostiene Cosimo De Sortis, presidente di Italmopa, l’Associazione Industriali Mugnai d’Italia che raggruppa le aziende che lavorano grano tenero e grano duro. Il quale apre il vaso di Pandora: “Per avere pasta a scaffale nei supermercati tutto l’anno, dobbiamo necessariamente importare. Se utilizzassimo solo la produzione italiana, troveremmo la pasta in vendita solo quattro mesi all’anno”.
L’occasione per la dichiarazione, che potrebbe essere applicata a tantissimi settori merceologici (quanto pistacchio c’è a Bronte? E quante nocciole ad Alba?) è stata l’Assemblea Generale di Italmopa, tenutasi a Roma, durante la quale l’associazione ha presentato i dati relativi all’anno passato: produzione stabile rispetto al 2017, +2,1% di fatturato, tassi di crescita superiori al 10% per farine integrali e biologiche.
“L’industria molitoria italiana è un leader riconosciuto. Il nostro è un primato di cui siamo orgogliosi, anche se, nella competizione, si sa, nulla è permanente”, ha dichiarato il presidente di Italmopa, Cosimo De Sortis. Anche perché, dice De Sortis, l’Italia è un importatore “strutturale”, sia per il grano duro che per il grano tenero: “Abbiamo un fabbisogno di importazione che si attesta intorno al 55% (grano duro) che arriva dal Nord America, Australia, Francia, Spagna, Grecia – riferisce – e al 40% (grano tenero) che importiamo prevalentemente dalla Francia, primo produttore europeo, ma anche Austria, Germania, Ungheria e Stati Uniti. Per avere pasta a scaffale nei supermercati tutto l’anno, dobbiamo necessariamente importare. Se utilizzassimo solo la produzione italiana, troveremmo la pasta in vendita solo quattro mesi all’anno”.
[Fonte: Il Sole 24 Ore]