La recente sospensione dell’export dell’olio di palma da parte dell’Indonesia, primo produttore mondiale e responsabile di circa il 50% delle forniture complessive a livello globale, ha complicato ulteriormente le carte in tavola per l’industria alimentare italiana. Diciamo “ulteriormente” perché, di fatto, l’affidarsi all’olio di palma era già un ripiego dal più tradizionale utilizzo di olio di semi di girasole, le cui esportazioni furono interrotte in seguito allo scoppio della guerra in Ucraina. Occorre dunque trovare un nuovo jolly nel mazzo, un piano C per porre rimedio al fallimento del piano B: per Marco Travaglia, presidente e amministratore delegato del gruppo Nestlé Italia e Malta, la soluzione sta nell’olio di colza.
Facciamo ancora un passo indietro per comprendere la gravità della situazione: lo Stivale è solito affidarsi a Kiev per il 63% delle importazioni di olio di semi di girasole che, come ormai è risaputo, non è più disponibile. Spostiamoci dunque sull’olio di palma: nel solo anno scorso l’Italia ha importato dall’Indonesia 634 milioni di oli e grassi, rappresentanti il 14,4% delle importazioni totali nazionali. Di nuovo, però, il rubinetto è andato a chiudersi, lasciando il Bel Paese a bocca asciutta.
“La situazione oli in questo momento è estremamente complicata” ha spiegato Travaglia. ” In questo momento la colza sembrerebbe essere una opportunità, credo che venga data anche la possibilità di aumentare la superficie seminabile. Sarà una risposta con semi alternativi non nel tempo breve ma abbiamo visto un buon supporto e una buona capacità di risposta delle istituzioni per far fronte a una situazione contingente e complicata”.