Secondo l’Unione internazionale per la conservazione della natura (Iucn) con sede a Ginevra, che compila ogni anno l’elenco degli animali a rischio di estinzione, l’olio di palma non è l’unico ad avere conseguenze negative sull’ambiente. Lo studio ha messo in relazione lo stato di salute di 100 mila specie con le produzioni di questi oli vegetali. Dall’analisi è emerso che l’olio di cocco mette a rischio 20,2 specie per ogni milione di tonnellate raccolte, seguito dall’oliva (4,1), dalla palma (3,8), dalla soia (1.3), arachide (1,02), girasole (0.05), canola (0,04). Secondo la lista Iucn, dunque, il peggiore è l’olio di cocco.
Nello specifico il cocco ha già condotto all’estinzione in passato dell’uccello dagli occhiali delle Marianne e della volpe volante di Ontong. Ora sono invece a rischio il tragulo delle Filippine, il tarsio di Sangihe e il paradiso ceruleo. Dopo il cocco, nella classifica Iucn c’è l’olio di oliva soprattutto per le pratiche di raccolta. In Spagna nel 2019 l’uso di aspiratori per raccogliere le bacche di notte ha provocato la morte di 2,6 milioni di uccelli.
Secondo gli esperti non si tratta di stigmatizzare un olio rispetto all’altro, molto dipende infatti dalle pratiche agricole che sono adottate. Tutti possono essere ricavati in modo da trarre più benefici sociali per la terra. Per l’olio di palma per esempio è stato introdotto un marchio che attesta la coltivazione non in aree di foresta ed è stato proposto di non usarlo per fini alimentari. Il cocco può non essere una monocultura e può essere unito a banana, cacao e caffè, migliorando l’uso delle superfici. Si tratta, quindi, di un’agricoltura rigenerativa che consente l’adozione di pratiche manuali meno invasive.
Fonte: [Business Insider]