L’olio di girasole è stato per qualche mese protagonista della cronaca alimentare: trattandosi infatti di una delle principali produzioni dell’Ucraina, lo scoppio della guerra ne ha di fatto paralizzato le importazioni lasciando numerosi Paesi a fare affidamento solamente sulle proprie scorte. Ognuno, si capisce, si è arrangiato a modo suo: nel Regno Unito si è deciso di razionare gli acquisti, mentre in Germania un birrificio ha cominciato ad accettare pagamenti in olio. Insomma, l’olio di girasole è di fatto diventato una merce di lusso – una tendenza confermata a maggior ragione dal prezzo, che è lievitato del 66% (il maggior incremento in Italia nel contesto dei prodotti alimentari).
L’aria sta però per cambiare: da Odessa è infatti partito il primo carico di 6mila tonnellate di olio di semi di girasole destinate al nostro Stivale, e la Coldiretti stima che la ripresa delle spedizioni avrà effetti positivi anche sul tasso di inflazione alimentare. Non è certo un segreto, infatti, che negli ultimi tempi il blocco delle forniture dall’Ucraina abbia determinato forti preoccupazioni per gli approvvigionamenti a cui sono seguiti aumenti dei costi di produzione e rincari al prezzo per il consumatore – pensiamo, oltre al sopracitato olio di semi, anche a frumento, grano e mais.
Una situazione, quella italiana, che secondo la lettura proposta da Coldiretti è direttamente collegata ai bassi guadagni nel settore dell’agricoltura: “L’Italia è costretta ad importare materie prime agricole a causa dei bassi compensi riconosciuti agli agricoltori che hanno dovuto ridurre di quasi 1/3 la produzione nazionale di mais negli ultimi 10 anni” spiega a tal proposito il presidente della Coldiretti Ettore Prandini. La soluzione? “Lavorare da subito per accordi di filiera tra imprese agricole ed industriali con precisi obiettivi qualitativi e quantitativi e prezzi equi che non scendano mai sotto i costi di produzione”.