Dal 26 agosto è scattato per decreto l’obbligo di indicare l’origine dei pomodori, che vale per pelati, polpe, concentrati e sughi. L’obiettivo è smascherare il frequente inganno dei prodotti coltivati all’estero, quindi importati per essere commercializzati come italiani.
Una misura di trasparenza per produttori e consumatori suggerita dall’ingente quantitativo di derivati del pomodoro arrivati in Italia in più rispetto al 2016: 86 milioni di chili provenienti nell’ordine da Stati Uniti, Spagna e Cina.
[Pomodori, non caporali: cosa pensa Slow Food del caso Olanda?]
[Denominazione d’origine inventata: la cucina italiana è una bufala?]
[Elogio del pomodoro: dove si litiga su quali sono meglio per il sugo]
I prodotti ricavati da pomodori coltivati e lavorati in Italia si riconoscono perché in etichetta vengono riportati questi dati:
– Paese di coltivazione del pomodoro;
– Paese di trasformazione del pomodoro;
– Se queste fasi avvengono nel territorio di più Paesi possono essere utilizzate, a seconda della provenienza, le diciture: Paesi UE, Paesi NON UE, Paesi UE E NON UE.
Nel frattempo, la campagna di raccolta del pomodoro in Italia, prossima ormai alla conclusione, dovrebbe assicurare un raccolto di circa 4.750.000 tonnellate. La qualità, misurata in gradi Brix, cioè il contenuto zuccherino, indica risultati molto soddisfacenti.
[Crediti | Agi]