Glifosato sì, glifosato no, glifosato forse – il dibattito su quello che potremmo tranquillamente considerare uno degli erbicidi più controversi degli ultimi tempi continua a imperversare. Un piccolo riassuntino: l’European Chemicals Agency è dell’idea che il pesticida possa provocare cecità e che sia tossico per gli organismi acquatici, ma di certo non è cancerogeno. Un punto traballante, rapidamente confutato da un secondo studio che ha dimostrato che invece sì, il glifosato può provocare il cancro. Regna la confusione: la Francia decide che, nel dubbio, pagherà gli agricoltori che smettono di usarlo; l’Efsa entra in gioco e dichiara di non avere trovato “alcuna area di preoccupazione critica”.
L’ultima aggiunta in questo limbo torbidissimo è quella della Commissione europea, che ha proposto di rinnovare per dieci anni l’autorizzazione del glifosato nella Ue a determinate condizioni. La proposta, stando a quanto lasciato trapelare, sarà esaminata venerdì 22 settembre dai rappresentanti dei 27 Stati membri, che dovranno poi validarla a maggioranza qualificata nel corso del voto del 13 ottobre.
Il glifosato continua a fare discutere, e nel dubbio si rinnova l’uso
I nostri lettori più attenti ricorderanno che non si tratta certo della prima volta che il glifosato viene “graziato” da un “vedremo più tardi”. L’attuale autorizzazione, rinnovata nel 2017 per cinque anni, sarebbe di fatto scaduta il 15 dicembre 2022, salvo poi essere prorogata per permettere alla comunità scientifica di formulare una valutazione attendibile. Valutazione che, come accennato in apertura di articolo, è arrivata: quella dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa), che non ha riscontrato “preoccupazioni critiche”.
Bruxelles avanza la proposta, dunque: semaforo verde fino al 15 dicembre 2033 a patto che si seguano una serie di nuove linee guida, che la prudenza – anche se non ci sono “aree di preoccupazione critica”, evidentemente – non è mai troppa. Per farla in breve, le condizioni di utilizzo del glifosato devono quindi essere accompagnate da “misure di mitigazione del rischio” riguardanti l’intorno delle aree irrorate con l’introduzione di “fasce tampone” di cinque-dieci metri e attrezzature che riducano drasticamente le “derive degli irrorati”. Bene notare, per di più, che è stato vietato l’uso per l’essicazione.
La patata bollente, in altre parole, passa ai singoli stati Ue, che saranno responsabili del rilascio delle autorizzazioni a livello nazionale e pure della definizione delle condizioni di utilizzo in modo tale che possano prestare “particolare attenzione” agli effetti sull’ambiente. Le istruzioni sono precise, ma l’impressione è che senza un ente incaricato di verificarne il rispetto si riveleranno belle parole piene di vento.
Gli stati dovranno esaminare gli altri componenti presenti negli erbicidi autorizzati, valutare l’esposizione dei consumatori ai “residui” potenzialmente presenti nelle colture successive coltivate in rotazione e garantire la protezione delle acque sotterranee o superficiali e infine “prestare attenzione” all’impatto sui piccoli mammiferi, valutando “se necessario” misure di mitigazione o restrizioni.