Attenzione appassionati di ostriche, tarantini golosi di ricci di mare, estimatori della vongola, e pure voi ostrovegani. Da oggi il rischio di imbattervi nel temibile batterio Vibrio, causa di forti intossicazioni alimentari e infezioni ben peggiori, è molto più alto. Lo dice l’EFSA, autorità europea per la sicurezza alimentare, che spiega anche il perché. Indovinate un po’: la colpa è sempre del cambiamento climatico, alla faccia di chi ancora nega o sostiene che tanto il problema non ci tocca. Invece, guarda un po’, rischiamo di ritrovarcelo nel piatto tra impepata e spaghetti.
Cos’è il batterio Vibrio
Le specie di Vibrio, anche dette vibrioni, sono batteri acquatici che si trovano nelle zone costiere e salmastre dove l’acqua dei fiumi si riversa nel mare. Come molte altre specie, prosperano a temperature calde e in particolare nelle acque a salinità moderata. I ceppi patogeni principalmente presenti in area europea sono Vibrio parahemolyticus, Vibrio vulnificus, Vibrio cholerae. Il primo è causa di gastroenterite anche in soggetti sani, mentre gli altri due possono portare a sepsi e morte di individui vulnerabili, tra cui bambini e anziani.
I vibrioni si trovano facilmente nei frutti di mare, organismi noti per il loro sistema di filtraggio delle impurità. Il consumo di cozze, vongole, ostriche crude o poco cotte può esporre più facilmente a intossicazioni e malattie. Se contaminati, questi alimenti rappresentano un rischio per la salute pubblica, ma non solo. Anche il contatto con acqua contenente vibrioni può causare infezioni e ferite – con buona pace (eterna) di chi sui social la usa come condimento.
L’allarme dell’EFSA
In base agli ultimi studi dell’EFSA relativi alla concentrazione di vibrioni nei frutti di mare, la presenza si è alzata parecchio. Si va dal 4% e 6% di V. vulnificus e V. cholerae, al 20% del V. parahemolyticus rilevati nei campioni in commercio. La loro presenza è direttamente proporzionale a due grandi classici del cambiamento climatico. Da una parte, innalzamento delle temperature delle acque marine e oceaniche; dall’altra, abbassamento di salinità che rende le condizioni ideali per la proliferazione. In questo quadro, le zone più a rischio sono Mar Baltico, Mar Nero e tutte le aree costiere con grossi apporti fluviali.
Ma c’è di più. Perché questi patogeni stanno esponenzialmente diventando resistenti agli antibiotici. La cosiddetta AMR (Antimicrobial Resistance) è stata riscontrata in numerosi campioni, e la sua presenza è a livelli preoccupanti. Le evidenze disponibili sono ancora scarse, quindi niente allarmismi: ma prevenire la possibilità di beccarsi un male incurabile è sempre meglio che ritrovarsi ad affrontarlo senza magari riuscirci.
Come difendersi?
L’EFSA ci racconta anche questo, partendo dal presupposto che ormai il danno è fatto. Ovvero, i vibrioni nei frutti di mare ci sono, ecco le buone pratiche per renderli inoffensivi. La prima cosa da fare è mantenere la catena del freddo in tutte le fasi di produzione: lavorazione, trasporto, conservazione. Alcune misure possibili per ridurre presenza ed efficacia dei vibrioni sono lavorazione ad alta pressione, irradiazione, abbattimento. Tecniche più light come la depurazione sono consigliate soltanto in caso di frutti di mare allevati in ambiente controllato.
Quando la palla passa al consumatore poi, beh ci vuole buon senso. Niente frutti di mare, specie se crudi, ai soggetti vulnerabili. Se pensavate di svezzare il pargolo a cozze, cambiate idea. Attenzione dunque a cosa e dove comprate, alla corretta manipolazione dei molluschi, alle temperature di cottura.