Si sta avvicinando la Giornata Nazionale di prevenzione contro lo spreco alimentare, che cadrà il prossimo 5 febbraio, e per l’occasione il WWF presenta il Rapporto internazionale Waste Watcher, da cui emergono notizie alquanto sconfortanti: il 2024 passa infatti alla storia come l’anno peggiore nella lotta allo spreco alimentare.
I numeri del fenomeno
Per far capire le proporzioni del fenomeno, facciamo un esempio pratico: la produzione di cibo che ogni anno finisce per essere sprecato occupa una superficie più ampia della Cina. E l’Italia si distingue negativamente con un aumento di cibo sprecato pro capite del 45,6%, che si traduce in 683,3 grammi di ingredienti finiti nella spazzatura, rispetto ai 469,4 grammi rilevati ad agosto 2023.
Una situazione grave e allarmante, che lascia intuire come iniziative quali la Giornata Nazionale di prevenzione contro lo spreco alimentare siano sempre più importanti per sensibilizzare i consumatori sull’impiego consapevole delle materie prime, evitando ripercussioni economiche ed ambientali importanti.
La materia più sprecata? Il pesce
Stupisce ancora di più scoprire che è il mercato ittico quello in cui lo spreco raggiunge i livelli più preoccupanti. Pesci vertebrati, crostacei e molluschi, sono le materie prime più preziose e più a rischio e, secondo la FAO, bel il 35% non raggiunge nemmeno le nostre tavole, alimentando un sistema di sovra sfruttamento dei mari con gravi conseguenze ambientali.
Una soluzione a questo problema potrebbe essere il consumo di pesce surgelato che, secondo l’Istituto Italiano Alimenti Surgelati, IIAS, arriva a ridurre gli sprechi alimentari di oltre il 47%, per ovvie ragioni di ottimizzazione delle quantità.
L’oste ci spiega che il pesce della casa è buono insomma, e un’azienda come Sapore di Mare, specializzata da più di trent’anni nella commercializzazione di prodotti ittici congelati fa del suo meglio dotandosi di certificazioni come MSC (Marine Stewardship Council) e ASC (Aquaculture Stewardship Council), per garantire la sostenibilità della pesca dei propri fornitori. Ai consumatori (e a noi) resta però il dubbio: la soluzione non sarebbe pescare meno e meglio?