Tutto il pubblico all’unanimità ha amato Niccolò di Masterchef 13, proclamandolo vincitore morale o perlomeno eleggendolo personaggio degno di affetto anche oltre al siparietto amoroso (?) con la trionfatrice Eleonora. Il giovane di Ravenna ha lasciato il segno, tra un “in bocca al lupo sincero” e le “lacrime da pino mugo”, ma la sua vita va ben oltre alle telecamere e alla cucina: lui, infatti è un medico e lavora attualmente anche come tale. Ecco perché simpatia a parte siamo un po’ perplessi per le pubblicità nel food che sta pubblicando sul proprio canale Instagram. Questa cosa, teoricamente, non viola il codice deontologico dei medici in Italia?
Come un giornalista (pubblicista e professionista) non dovrebbe per deontologia guadagnare su nessun tipo di pubblicità, e a tal proposito i fatti recenti hanno messo in luce un caso piuttosto grave, così un medico non potrebbe ammettere tale scelta. Sempre teoricamente. Le iscrizioni all’albo parlano di regole ben precise, e logiche se ben le si analizza anche al di là dell’imposizione: vedere un medico pubblicizzare uno specifico brand sotto compenso fa quindi sorgere interrogativi.
La pubblicità che il “Dr. Califano” non dovrebbe fare (?)
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Tra i reel pubblicati da Niccolò Califano ne spicca uno recente che risulta sponsorizzazione AIA: il giovane usa le uova aprendo una sorta di box dei ricordi pieno di varietà di uova, per proporre una ricetta cui è affezionato. Fin qui non v’è nulla di male – è normale attività di qualunque foodblogger – peccato che Niccolò sia un medico, e non teoricamente non potrebbe fare pubblicità, secondo l’articolo 53-56 del codice deontologico.
Insomma c’è un motivo se per le pubblicità compaiono medici, dentisti e ricercatori di laboratorio interpretati da attori con indosso un camice: il Divieto di patrocinio a fini commerciali. L’articolo deontologico, infatti, indica che: “Il medico è responsabile dell’uso che si fa del suo nome, delle sue qualifiche professionali e delle sue dichiarazioni. Egli deve evitare, che attraverso organi di stampa, strumenti televisivi e/o informatici, collaborazione a inchieste e interventi televisivi, si concretizzi una condizione di promozione e di sfruttamento pubblicitario del suo nome o di altri colleghi“. Vero è che si parla di ambito sanitario, e che Niccolò non fa pubblicità parlando di salute, ma resta il fatto che lo fa sfruttando i propri studi in medicina e a nome di “Dr. Califano”.
Sui Social Network vale tutto, evidentemente
Se per la tv le regole sono da anni più ferree, sui Social Network evidentemente i codici deontologici sono molto meno tenuti in considerazione. Dopotutto, come il dott. Niccolò Califano pubblicizza in qualità di personaggio pubblico (sotto contratto con la trasmissione), abbiamo anche una Francesca Ferragni dentista e chirurga orale che da anni pubblicizza qualunque cosa – compresi cibi ben lontani dal concetto di salute odontoiatrica, tra l’altro.
Per quanto il reel per le uova AIA proposto da Niccolò sia geniale e molto divertente, il fatto che interpreti apertamente “il ruolo di medico” per farlo mette ancora più in luce il possibile conflitto di interessi. Se vi state chiedendo allora quale sia la differenza tra questi due casi (Califano, Ferragni) e le infinità di medici e nutrizionisti che argomentano sui social, ecco la risposta: l’#adv, e il riferimento a brand specifici. Un medico può parlare genericamente di un alimento o prodotto, ma non siamo sicuri che possa accettare compensi per farlo né entrare nello specifico di marchi. A quando una bel chiarimento legislativo anche in questo senso, oltre che sugli influencer generici per la “legge Ferragni”, su Instagram?