I prezzi in aumento non sono un ostacolo, ma uno strumento. Potremmo riassumere così quanto emerso dai più recenti rapporti presentati da Nestlé, che di fatto ha registrato la sua più forte crescita delle vendite negli ultimi 14 anni dopo aver trasferito un rincaro del 7,5% sulle tasche dei consumatori. Rincaro che, a onore del vero, era stato ampiamente telegrafato dal colosso dell’alimentare. I motivi sono sempre i classici, e ormai dovreste conoscerli a memoria: carenza di materie prime, inflazione a galoppo, bollette sempre più alte. Il gioco è sempre lo stesso – c’è chi sceglie di assorbire gli aumenti e guadagnare un po’ di meno, c’è chi li trasferisce sul consumatore e chi, invece, ne approfitta gonfiando ancora di più prezzi dietro la scusante della crisi.
Ora, lungi da noi accusare la Nestlé: ciò che ci interessa, in questo contesto, è notare che la più grande aziende di beni di consumo al mondo ha registrato una crescita organica delle vendite dell’8,5% a 69,1 miliardi di franchi svizzeri nei primi nove mesi dell’anno – il più alto tasso di crescita organica dall’ormai lontano 2008. Importante notare, per di più, che la stessa azienda ha ammesso che il boom dei ricavi è stato principalmente il risultato del trasferimento di significativi aumenti dei prezzi ai consumatori. Della crescita organica dell’8,5%, 7,5 punti percentuali (88%) derivano infatti dall’istituzione di aumenti di prezzo in tutto il portafoglio.
“Nestlé ha riportato una buona serie di risultati poiché le vendite hanno superato le aspettative grazie alla sua capacità di trasferire l’aumento dei prezzi ai clienti senza influire sulla domanda”, ha affermato Chris Beckett, capo della ricerca azionaria di Quilter Cheviot. Occorre però essere consapevoli che il sistema non è sostenibile: se i consumatori dovessero continuare a stringere la cinghia c’è il rischio che in consumi prendano a rallentare – come di fatto sta già succedendo.