Il numero non può mentire, ma non è immune – e meno male – alla forza dell’interpretazione. Un’indagine sul gender pay gap condotta da Fiscozen ha svelato la ristorazione è uno dei pochi settori – uno dei tre, a essere precisi – in cui le libere professioniste guadagnano più dei colleghi uomini. Ma ne siamo sicuri?
Di nuovo: il numero non può mentire. Quando leggiamo che “gli uomini in Partita Iva guadagnano mediamente il 18,3% in più delle donne” siamo certi che si tratti di un risultato matematico, oggettivo. Il gap, si legge nel report, si presenta “già dai primi passi nel mondo del lavoro autonomo e cresce con l’età”, passando dal 7,4% della fascia 18-24 e crescendo fino al 28,5% in quella 55-65.
Il nodo della ristorazione
È fondamentale sottolineare che i numeri di cui sopra sono stati elaborati da Fiscozen prendendo in esame i dati aggregati di “oltre 30 mila Partite Iva attive nel 2024″. Tradotto: il numero non può mentire (aridaje), ma ha il carattere di un dato parziale, “figlio” di un campione relativamente ristretto, e che ha dunque una valenza soprattutto indicativa.
Il nostro non è divagare, ma costruire un contesto. Lo studio, dicevamo, ha preso in esame più attività suddividendole per codice ATECO, trovando che gli uomini guadagnano mediamente sempre più delle donne (con picchi nel settore manifatturiero – 94,4%! – e nel mondo dell’informazione e della comunicazione). Quel che ci interessa, però, sono le eccezioni alla regola.
I tre settori che vedono un gender pay gap “al contrario”, per così dire, sono le attività legate al noleggio e ai viaggi (+9,2%), le attività immobiliari (+7,1%) e il mondo dei servizi di alloggio e ristorazione, con +9.857 euro annui e un fatturato medio di 37.589 euro, ovvero +26,2% a favore delle donne. Il dato sarebbe degno di nota per il semplice fatto che si tratta di un’anomalia, ma a renderlo in grassetto c’è anche la percentuale importante. Tanto importante, di fatto, da averci fatto alzare il sopracciglio.
Lo studio, lo ricordiamo, ha preso in esame i codici ATECO, e in questo caso specifico parla dunque di imprenditoria nel campo della ristorazione. C’è chi potrebbe pensare che il dato sia “sporcato” da chi intesta l’impresa alla moglie per prendere agevolazioni fiscali sull’imprenditoria femminile, ma questo dovrebbe essere valido in tutti i settori.
Il numero, in ogni caso, rimane; e con lui il dubbio. Per risolverlo potrebbe essere interessante valutare un bacino più ampio – 30 mila, converrete, è un campione relativamente piccolo – e vedere se il numero regge.